Ferlaino: «Sono sconcertato», il film su Diego è un’offesa a tutta la città

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Il giudizio è duro. «Sono sconcertato» dice Corrado Ferlaino, presidente del Napoli e «carceriere di Maradona: così mi definì quando decisi di non cederlo al Marsiglia». Ha appena riavvolto il nastro del film di Kapadia e quello dei ricordi, dei sette anni azzurri di Diego.
Sconcertato, perché?
«Perché c’è modo e modo di raccontare la verità e di fare cronaca. Il regista ha scelto quello sbagliato. Per tre motivi».
Quali?
«In questo film la camorra sembra presente in tutte le cose napoletane e questo non è vero. Lo dico io che ho avuto certe esperienze nella mia vita».
Nell’82 la camorra tentò di strapparle con violenza il Napoli facendo esplodere una bomba davanti al suo palazzo.
«Passiamo agli altri due motivi. Il pubblico napoletano viene mostrato come una massa di incivili fanatici e noi sappiamo che non è così: nei confronti di Maradona vi fu, e vi è, tanto amore per quello che rappresentò e per ciò che fece vincere. Terzo e ultimo motivo: il finale del film è inclemente verso Diego, viene dato troppo spazio al suo declino. E la parte sportiva? Le sue, le nostre, vittorie? Si parla della camorra, invece. Con le foto di morti ammazzati che non hanno alcun legame con la nostra storia».
Lei respinse con forza la provocazione di un cronista francese nel giorno della presentazione di Diego al San Paolo il 5 luglio dell’84.
«Allontanai dalla sala stampa quel giornalista che si era permesso di dire che Maradona era stato acquistato con i soldi della camorra. L’autore di questo film, esattamente come quel giornalista, ignora la mobilitazione che vi fu allora, il sostegno del sindaco Scotti e del Banco di Napoli per realizzare l’operazione. Altro che città povera che accoglie il calciatore più ricco, come si dice nella pellicola: avevamo sette ministri campani e stava nascendo un’opera proiettata nel futuro come il Centro direzionale».
Ma la relazione tra Diego e il clan camorristico Giuliano è ampiamente documentata.
«Svelo un episodio accaduto prima di una partita a Genova. Eravamo in ritiro a Sestri Levante e un massaggiatore mi disse che erano arrivati alcuni dei Giuliano in albergo. Mi allarmai e telefonai al questore di Napoli. Rispose: Cosa potremmo fare? Sono incensurati. Non mi arresi, mi rivolsi al commissariato locale: i poliziotti identificarono i Giuliano al campo di allenamento e si allontanarono. Ecco, se anche lo Stato aveva difficoltà ad intervenire, noi cosa avremmo potuto fare?».
Lei sapeva che Maradona si drogasse.
«Tutti sapevano come si comportava, soprattutto quando tornava in Argentina. Ma il presidente di una società deve curare il rapporto professionale e assicurarsi che i calciatori diano il massimo: e Maradona lo ha sempre dato, caricandosi il peso di una squadra e di un ambiente che non avevano mai vinto. Ecco, anche quello forse incise sui suoi problemi psicologici. Un presidente non è il papà di un calciatore: acquista le sue prestazioni sportive, non la sua vita».
Si è mai pentito di non averlo ceduto al Marsiglia nell’89? Forse Diego, cambiando città, avrebbe potuto cambiare anche vita.
«No, nessun pentimento. Perché Maradona era ancora uno straordinario calciatore, tanto è vero che, dopo che io respinsi un assegno in bianco, il Napoli vinse il secondo scudetto e la Supercoppa».
Maradona dice nel film: «Quando arrivai c’erano 85mila napoletani ad accogliermi. Quando sono andato via era solo». Lo abbandonaste?
«No e ancora oggi voglio profondamente bene a Diego, che ha fatto vivere a me e ai napoletani le più esaltanti emozioni sportive. Quando ebbe problemi con la giustizia italiana, gli mettemmo a disposizione l’avvocato Siniscalchi, che faceva parte del nostro consiglio d’amministrazione. Al termine della squalifica per doping nel 92, io fui obbligato dalla Fifa a cederlo al Siviglia: non lo avrei mai lasciato partire. Ecco perché mi ha amareggiato questo film. Si riporta la telefonata nella notte per avere cocaina ma non si dà spazio ai trionfi. E, da tifoso di Diego, aggiungo: perché far vedere da tutte le angolazioni quel gol di mano all’Inghilterra? C’è poco equilibrio nel racconto. Anzi, c’è faziosità e per un napoletano è impossibile riconoscersi».
Ma Kapadia ha voluto raccontare Diego e Maradona, la fragilità dell’uomo e la grandezza del campione.
«Emerge soltanto la prima e questo mi addolora perché lui resterà il più bel ricordo nei miei 33 anni con il Napoli».

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F.sco De Luca (Tratto da Il Mattino)

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