Marcello Nicchi, pres. AIA: “Sbattiamo in galera i razzisti”
Due sole giornate di campionato e polemiche a josa. Marcello Nicchi, la immaginiamo consapevole – da presidente dell’AIA – che non si può più fare finta di non vedere e di non sentire.
In presenza di cori razzisti negli stadi cambieranno atteggiamento anche gli arbitri? «Ci sono procedure che vanno applicate, procedure molto chiare stabilite dalla FIGC, come la chiusura di determinati settori e di intere curve. Noi – dico noi arbitri – abbiamo una grande responsabilità nella gestione della gara, ma è utile sgombrare il campo dagli equivoci e voglio dirlo con chiarezza: non si può pensare di scaricare sugli arbitri questo problema. Per questo gli arbitri non cambieranno atteggiamento».
Come si combatte questo fenomeno? «Per prima cosa non lo si deve sottovalutare. E poi penso che i razzisti vadano individuati immediatamente, bloccati e portati in galera. Servirà anche come deterrente, ne sono convinto».
Lo diciamo da tempo, ma lei ritiene che ciò sia possibile? «Certo, oggi negli stadi ci sono decine e decine di telecamere, agenti, ispettori di polizia, c’è la Procura che si può coinvolgere. Si sa perfettamente chi va allo stadio, si conoscono i nomi di chi comanda nelle curve. Basta volerlo e si può fare».
E in tutto questo che ruolo dovrà avere l’arbitro? «Guardi, noi siamo gli ultimi a vedere. Dobbiamo preoccuparci del gioco, i nostri arbitri hanno le cuffie, c’è il VAR a cui prestare attenzione, c’è una partita da gestire, non soltanto da un punto di vista disciplinare, anche a livello mentale. Immaginate l’arbitro di un Roma-Lazio che deve rapportarsi in continuazione con i giocatori, come si può pensare che possa valutare anche quanto succede nelle curve?».
Sospendere la partita è un’ipotesi realistica? «L’arbitro non può assumersi la responsabilità di sospendere una partita e trasformarla in una questione di ordine pubblico. Ci sarebbe il pubblico da far evacuare, l’ordine da mantenere: non possiamo caricarci questa incombenza. Le regole ci sono: applichiamole».
Il problema è che spesso non vengono applicate. «E’ in questa direzione che dobbiamo muoverci, serve più severità in tal senso. E la nostra categoria lo sa bene. Per anni abbiamo subito episodi di violenza, e tutto nell’impunità. Poi pian piano, tra denunce e norme che disciplinano la questione anche in materia penale, molto è stato fatto: serve una visione strategica».
Come siamo arrivati a questo punto? «Sicuramente il fenomeno è stato sottovalutato, anche da un punto di vista culturale. Dobbiamo capire che questa è una grande questione civile. Io vorrei vedere i padri che di fronte ai «buuu» dicono ai figli: Senti quello scemo, tu non farlo mai».
Questo attiene all’educazione civile e al rispetto del singolo individuo. Il problema è che spesso chi la pensa così in uno stadio viene isolato e silenziato. «Aggiungo che anche chi subisce l’insulto non deve mai sentirsi solo. E qui entriamo in gioco tutti. Per questo voglio esprimere la mia più profonda solidarietà nei confronti di quei giocatori – penso oggi a Lukaku, ieri a Koulibaly e a tutti gli altri in questi anni – che sono stati oggetto di questa vergogna».
All’estero il problema-razzismo negli stadi – che pur esiste anche in Spagna, Inghilterra, Francia e negli altri campionati – viene affrontato con maggiore severità. «E’ evidente che anche da noi servono provvedimenti esemplari. Prendiamo il primo che offende un giocatore di colore, mettiamolo in galera e poi vediamo cosa succede».
Come si sta muovendo il sistema-calcio italiano? «Al Consiglio Federale si sta lavorando in sintonia. C’è una FIGC attiva, il presidente Gravina è un uomo che le cose le dice e le fa: è arrivata l’ora di intervenire».
Fonte: CdS