Gravina: “La partitissima di Torino come conferma della crescita del Napoli”

Dopo dieci mesi al vertice, il numero uno  della Figc ribadisce la necessità di operare riforme radicali: nomi, regole, strutture

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Il Presidente Gravina si è concesso ai microfoni del CdS. Svariati gli argomenti trattati, dalla tecnologia alle nuove regole, dall’ inizio del campionato al mercato, dalle plusvalenze alla Cina…Le sue risposte in merito:

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Presidente  quando ha detto “il Var non si discute, certi errori sì”, ce l’aveva solo con gli arbitri o anche con le nuove regole? «Volevo sancire un principio: che il Var è indispensabile per dare certezza alla competizione. Ma anche che il valore della tecnologia deve essere mixato con il ruolo delle risorse umane. Certo, ero dispiaciuto. Ma per gli arbitri, non contro di loro. In una giornata d’esordio bellissima, con 33 gol e tante decisioni azzeccate, un solo errore, quello del rigore su Mertens, ha finito per mettere sotto accusa una categoria che rappresenta un’eccellenza italiana».

Si può parlare ancora di eccellenza? Ammetterà che dai tempi dei Lo Bello, dei Casarin e dei Collina c’è una strada tutta in discesa. Che cosa è accaduto agli arbitri italiani? «Ci sono fasi di rilancio e fasi di criticità. Avviene anche per gli atleti. Ma gli arbitri stanno vivendo un’evoluzione difficile, che dobbiamo saper accompagnare. Il loro è diventato un mestiere improbo, che richiede un impegno full time incompatibile con un altro lavoro, meno gratificante sotto il profilo del ritorno economico e della visibilità. Tant’è vero che registriamo una crisi del reclutamento. Poi le polemiche, certo, non aiutano». 

Vuol dire che sono mal pagati? «Voglio dire che, quando l’arbitro smette, deve trovare un nuovo lavoro, a differenza di altre categorie di professionisti che, accumulando risorse cospicue, hanno una rete di protezione. Per questo stiamo istituendo un fondo di solidarietà con l’Aia, un ammortizzatore sportivo e sociale di due anni per il reinserimento».

Ma non sarà anche che nelle stanze dell’Aia si respira aria consumata? Nicchi è al timone da tre mandati. E lei, al suo insediamento, ha detto che due bastano e avanzano. Oppure ha cambiato idea come Di Maio con i Cinquestelle? «Non ho cambiato idea. Nel volontariato il limite di due mandati è sacrosanto. È un tempo giusto per compiere un ciclo, formare la nuova classe dirigente e dare attraverso la successione nuova linfa». 

Vuol dire che s’impone un ricambio? «No, voglio solo dire che ci sono norme statutarie, alle cui scadenze tutti si devono attenere».  

Torniamo al Var. Quando sarà pronta la centrale unica? «Proprio stamane abbiamo fatto una verifica. Servono sessanta giorni per restaurare e adeguare sismicamente il centro di Coverciano, che risale agli anni Cinquanta. E altrettanti per completare la dotazione tecnica e i collaudi. Si parte a metà campionato in via sperimentale. E sarà un momento bellissimo, perché fuori dalla room control unica, dove si decide in tempo reale su tutti i campi di gioco, c’è una saletta da cui chiunque può vedere le immagini e assistere al momento di formazione delle decisioni. Un esempio di trasparenza e anche di formazione per gli arbitri del futuro».  

Le polemiche toccano gli arbitri ma anche le regole. L’abolizione della volontarietà nel fallo di mano in area può trasformare il calcio in un gioco d’azzardo, dove il caso e la furbizia contano più del valore sportivo, non crede? 
«Sì, questa regola genera equivoci. Rispettiamo le decisioni del board internazionale che l’ha scritta, puntando in buona fede a dare certezza e uniformità di giudizio. Però, l’effetto che si produce in alcuni casi è opposto a quello voluto. Sembra facile, quasi banale, dire che il contatto oggettivo vale rigore, a prescindere dalla volontarietà. Quando vai ad applicare il principio è molto più complicato. Soprattutto a confronto con l’abilità di certi fuoriclasse».

Che possono indirizzare la palla sulla mano dell’avversario? «Beh, ci sono calciatori che hanno capacità balistica. Lo dico in maniera provocatoria, nessuno si offenda. Ma potrebbe accadere, e non sarà sempre facile distinguere». 

Quindi che si fa? «Questo è un tema molto delicato, noi abbiamo il dovere di applicare le regole dell’Ifab (International Football Association Board – ndr). Però non possiamo subire norme che, siamo certi, generano polemiche, e abbiamo il diritto di rappresentare le criticità». 
 
Ma perché un paese come l’Italia, che ha vinto quattro mondiali, in questo board non conta niente? «Non è che non conta, semplicemente non è rappresentato. Però l’organizzazione europea di cui l’Italia fa parte potrà e dovrà dire la sua. Segnalando anche il rischio che il calcio diventi un atto di notai e non un gioco dove vince la fantasia. È giusto cambiare, ma senza stravolgere».

Anche lei ha cambiato qualcosa in casa propria. Per esempio la giustizia sportiva, all’insegna di una maggiore separazione tra chi accusa e chi giudica. Non tocca adesso un ricambio delle cariche? «Il ricambio è già iniziato con la Corte d’appello federale. Lunedì parte il bando per integrare i giudici del tribunale e ci sarà qualche riflessione su altri organismi». 

La Procura? «Massima considerazione per chi ha fin qui rappresentato gli organi di giustizia sportiva, ma oggi c’è l’esigenza di cambiare».

Giustizia chiama violenza e razzismo. Fin qui la giustizia sportiva ha chiuso un occhio e talvolta due, in nome del principio che non si possono punire una società e una tifoseria per quattro deficienti. Però i cordoni ombelicali tra le società e gli ultrà sono ancora in piedi. Come si spezzano? 
«E’ difficile e anche sbagliato colpire nel mucchio. Servono sanzioni più stringenti e un grande lavoro preventivo. Dico no alla responsabilità oggettiva, che è un obbrobrio giuridico e civile, ma le società devono attivarsi per isolare i violenti. Possono farlo, impiegando le tecnologie di riconoscimento facciale che consentono di identificare chi viola le regole di sportività e di civiltà. Così ha fatto la Juve con il tifoso che ha mimato l’aereo, durante il derby con il Torino, evocando per i tifosi rivali la tragedia di Superga. Cinque anni di daspo e il caso è chiuso. Si può, si deve fare così. Ma chi rinuncia a scavare questo fossato tra i club e i violenti deve avere punizioni esemplari, fino alla perdita della partita a tavolino. Perciò promuoveremo incontri con la polizia per mettere in atto un piano coordinato di interventi».

Purtroppo non si tratta di casi isolati. Li ha visti certi striscioni nella prima di campionato? Insulti a Cairo, solidarietà a Diabolik e altre amenità.
«Li ho visti, purtroppo. Dobbiamo lavorare a scuola. C’è un grande progetto che partirà quest’anno per insegnare l’educazione civica ma anche la cultura del rispetto, giocando a calcio».

Ma la violenza non sarà l’altra faccia di un certo machismo che il calcio italiano si porta dentro? Prenda il caso Icardi: un campione diventa uno scarto perché i compagni, il tecnico e il club non accettano che la moglie vada in tv a dire la sua e pretendono da lui le scuse. Tutto inizia così, o no? 
«Non conosco la vicenda. Ho la sensazione però che il rinnovo del contratto c’entri assai più del gossip della moglie. Mi dispiace però che un campione della sua qualità non possa esprimersi. E sono convinto che il concentrato di energia e di rabbia di Maurito farà molto bene a chi lo prenderà o all’Inter se resterà».

Il mercato è aperto a campionato iniziato, l’anno scorso chiuse il 17. L’Inghilterra ha chiuso l’8 agosto, con l’irritazione di Pochettino, che vorrebbe una data unica per tutti. Non ha ragione?
«Sì, ma è l’Inghilterra che dovrebbe adeguarsi. Francia, Spagna, Germania e Russia chiudono il 2 settembre come l’Italia, la Turchia ci ha preceduto il 20 agosto, il Portogallo tarda fino al 22 settembre. In un sistema globale chi chiude prima è penalizzato».

Intanto fioccano le plusvalenze, simbolo di un’opacità che simula incrementi di valore fittizi. Poi sotto sotto scopri che il debito cresce sempre di più e che il fatturato cresce sempre di meno del monte ingaggi. 
«Le plusvalenze sono un’anomalia ma nessuno ha la soluzione in tasca per mettervi un argine. I tribunali ordinari dicono che è insindacabile il valore soggettivo che due soggetti danno all’oggetto del loro scambio. Ciononostante io credo che abbiamo il dovere di segnalarle alla procura federale e al collegio dei revisori. Abbiamo un debito che sfiora i 4 miliardi e che ogni anno cresce di trecento milioni, nonostante costanti finanziamenti e coperture da parte dei proprietari dei club».

Poi c’è la Cina che offre 16 milioni di ingaggio annui a El Shaarawy, e il calcio italiano si scopre seduto su una bolla che può esplodere da un momento all’altro. Ha paura che ciò accada, presidente? 
«Diciamo che sono preoccupato. Perché temo che l’accumulo eccessivo di indebitamento richieda un intervento esterno. E perché vedo un certo disinteresse anche da parte del mondo politico. Si finge di ignorare che il calcio è disciplinato da una legge che ha trentotto anni. Per la quale Cristiano Ronaldo è ancora un lavoratore subordinato. Bisogna individuare profili normativi adeguati all’evoluzione del mercato».

La politica però un certo interesse lo ha dimostrato. Con una legge unica nelle democrazie liberali, il governo gialloverde ha riportato allo Stato la distribuzione dei finanziamenti allo sport, sottraendoli al Coni. Rocco Sabelli, amministratore delegato della nuova holding pubblica Sport e Salute, in un’intervista al Corriere della Sera ha teorizzato che lo sport di Stato è una prospettiva di novità. Lei ha assecondato questo progetto, insieme con altri presidenti di Federazioni sportive e contro Malagò: non teme che lo sport venga usato come un enorme bacino di consenso? «Le risorse che il governo distribuisce per il settanta per cento le produce il calcio, visto che il nostro fatturato supera un miliardo e trecento milioni. Non è lo sport a essere finanziato dallo Stato, ma è piuttosto il calcio che finanzia l’intero sport italiano».

Ma è giusto che sia il governo a dividere la torta e non più il Coni? «Anche il Coni è un ente pubblico. Alcune misure del progetto del governo erano condivisibili. Penso all’idea di favorire lo sport di base. Credo che dovessimo dialogare per portare a casa il risultato migliore, e non porci contro pregiudizialmente». 

Non sarà che il governo si è insinuato in una divisione interna al mondo dello sport e alcuni di voi vi siete prestati a questo gioco? 
«Personalmente non mi presto a nessun gioco. Il 23 ottobre scorso, appena eletto, dissi al presidente Malagò e al sottosegretario Giorgetti che il calcio si può autofinanziare, visto che il contributo dello Stato al calcio è sceso negli anni da ottanta a trenta milioni. A me interessa il bene dello sport italiano. Ma pretendo per il calcio un’attenzione che è finora mancata».

Ma questo mercato porterà equilibrio a un campionato che da otto stagioni ha un solo padrone? 
«Penso di sì, anzi ne sono convinto. Aver recuperato allenatori come Conte e Sarri è un’occasione di crescita per tutti. Poi c’è il Napoli, maturato attorno a un grande tecnico come Ancelotti. La partitissima di Torino contro la Juve potrebbe darci una conferma a questa previsione».

Nel Forum organizzato dal Corriere dello Sport-Stadio qualche mese fa lei lanciò la proposta dei play off per incentivare la competizione. Difende quell’idea?
«Sì, era una provocazione, ma non solo. Sono convinto che una Final Four possa ribaltare gerarchie consolidate e accendere l’entusiasmo».

Ma l’ascensore sportivo dipende anche dalla distribuzione delle risorse dei diritti Tv. In Inghilterra la neopromossa Aston Villa spende più della Juve perché la divisione della torta e più equa, non crede? 
«In Inghilterra è maggiore la quantità di risorse ed e più equa la distribuzione. Perché tutte le società sono parti di una stessa filiera che opera per la produzione di valore. Questo significa fare sistema». 

Dentro questo sistema c’è anche la Nazionale. Che contro l’Armenia e la Finlandia punta a blindare la qualificazione agli Europei. Senonché alcuni di quei talenti scoperti da Mancini hanno smarrito la strada. Chi come Barella ha iniziato in panchina, chi come Zaniolo e Kean è finito in punizione. C’è il rischio che il ct sia costretto a rifare la squadra?
«Spero di no. Credo che Mancini richiamerà gran parte di quel gruppo. Che è già collaudato. Certo, Armenia e Finlandia hanno nelle gambe qualche partita di campionato in più. Però Fiorentina-Napoli ci ha mostrato un grandissimo Insigne, e anche Verratti e Sensi sono in un ottimo momento. Confidiamo in Mancini e incrociamo le dita». 

E i due ragazzacci puniti? 
«Se sta parlando di Kean e Zaniolo, saranno recuperati in tempi rapidi, non appena saranno stati decontaminati dall’idea che le regole sono solo degli optional».

Ma non le pare esagerato negargli la Nazionale per aver fatto un ritardo di venti minuti in allenamento? Oppure c’è qualcos’altro che non si può dire?
«Sorvoliamo». 

 

 

 

 

 

 

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