Sacchi: “Quest’anno ci divertiremo, in panchina son tornati gli strateghi”
Arrigo Sacchi ne è convinto. Quest’anno sarà un’altra Serie A. Non ci sarà il vuoto dietro la Juventus, perchè: «la serie A ora ha sette, otto strateghi in panchina, strateghi e non tattici, che con le loro idee, con la voglia di stupire, di fare un passo in avanti dopo aver fatto un gol e non un passo indietro, possono regalare una grande stagione al nostro calcio». E’ fiducioso, il vate di Fusignano, che il calcio italiano abbia ripreso a mettere le idee, il gioco e lo stile dinanzi a tutto. E lo dice ai microfoni de Il Mattino:
La scelta della Juve è stata rivoluzionaria? «La società è avanti dieci anni rispetto alle avversarie. E se ha scelto Sarri vuol dire che intende dargli sostegno. Altrimenti sarebbe un errore averlo chiamato. Ci sono tutte le condizioni perché possano gettare le basi per quello che ho creato io al Milan. Ma a un patto: Berlusconi era sempre al mio fianco, pronto a gettarsi nel fuoco per me. La vera forza di quel Milan era questa. Per arrivare in alto, Sarri ha bisogno dello stesso sostegno incondizionato».
Con questi campioni, Sarri può avere vita facile per imporre il suo gioco? «Non lo so. Maurizio mancava al calcio italiano. Lui è uno che si adatta a quello che trova. E alla Juve trova tanto. Io qualche scelta di mercato la imponevo, lui nella sua carriera a parte Jorginho e Higuain quando era al Chelsea non mi pare che abbia mai messo bocca. La disponibilità dei calciatore è fondamentale. Ero direttore tecnico del Real Madrid e in attacco c’erano Figo, Beckham, Zidane, Ronaldo e Raul. E in panchina c’era Owen. Di Stefano, che era presidente onorario, dopo venti minuti andava via sbuffando: è una noia veder giocare questa squadra. Ecco, le basi del calcio non possono essere l’attesa degli errori altrui, o la semplice gestione delle partite. Ci vogliono idee e valori. E bisogna puntare alla bellezza e non al tatticismo. Io contro Maradona e Careca non ho mai cambiato disposizione in difesa».
Alla seconda giornata è già scontro diretto con Ancelotti. «Sarà un duello spettacolare. Carletto sta portando avanti un progetto importante, pieno di personalità. Il collettivo e il gioco sono più importanti delle individualità e lui si sta imponendo. La sua intelligenza è mostruosa. Il calcio ha bisogno di maestri come il cinema ha bisogno di sceneggiatori e registi. Brecht diceva che senza copione si va solo nella direzione dell’improvvisazione e del pressapochismo. Spesso le squadre sono come quei kolossal degli anni 50 e 60: pieni di attori stellari ma inguardabili perché non c’è una trama. Il Napoli invece ha stile e gioco».
Carlo era così anche da calciatore. «Arrivò al Milan col medico che mi aveva detto che i problemi fisici che riducevano le potenzialità atletiche del 20 per cento. Me ne infischiai. Doveva fare il regista e allora mi disse come devo fare?. Semplice, vieni a Milanello due ore prima degli altri perché poiché devi fare il direttore d’orchestra devi imparare lo spartito e sentire la musica in anticipo. E allora io gli facevo trovare i ragazzini della Primavera».
I risultati furono straordinari? «Maradona rimase stupefatto. Mi disse: Come è veloce Ancelotti. E io replicai: ti sembra veloce di gambe, ma in realtà lui è uno che è veloce di testa. Ed è rimasto così anche adesso».
James può far bene al calcio italiano? «Carletto lo ha avuto due volte, al Real Madrid e al Bayern. Se lo vuole anche una terza volta vuol dire che può far bene soprattutto al suo calcio e quindi al Napoli».
Icardi meglio al Napoli o alla Juventus? «Dipende da lui, dalla volontà che ha, dalla voglia che avrà nella sua eventuale nuova avventura, dall’impegno che è disposto a mettere. Io ho 73 anni e studio ancora e neppure per un istante mi sento sazio di apprendere, di aumentare le mie conoscenze».
L’Inter di Conte si è avvicinata a Juventus e Napoli? «Antonio è un tipo ossessivo e questo lo rende unico, non a caso uno degli allenatori più giustamente apprezzati al mondo: quando era con me in Nazionale prendeva sempre appunti sui miei allenamenti, aveva un quaderno in cui si segnava tutto. Lui mi ha confessato che io lo facevo ammattire, perché per me allenare vuol dire mettere in moto i neuroni E quindi non c’era un allenamento uguale a quello successivo. Perché la testa e la gambe vanno allenate assieme».
Dove va il calcio italiano? «De Zerbi, Gasperini, Giampaolo, Andreazzoli, Di Francesco ma anche Fonseca alla Roma. Ecco, l’impressione è che ci sia la voglia da parte delle società del nostro Paese di mettere il gioco davanti a tutto. La scelta del Milan di prendere Giampaolo mi rende felice. D’altronde, più si gioca bene e più è semplice vincere».
Manolas, De Light, Godin: è stato fino ad adesso il mercato dei difensori? «Il calcio non va sezionato, non si difende solo con i difensori. Io lo facevo piazzando qualche volta Gullit ala, per esempio. Spendi tanto per un difensore perché sai che nell’uno contro uno può essere insuperabile. Spendere per un difensore bravo non vuol dire essere difensivisti, ma intendere il calcio come va inteso ovvero uno sport di squadra offensivo. Io arrivai nel Milan e l’anno prima in difesa c’erano Bonetti, Tassotti, Baresi e Maldini. Io tolsi Bonetti e mi limitai a inserire Galli o Costacurta. Passammo dal prendere 24 gol ad appena 12. La differenza? Quel filo invisibile che è il gioco. Il Milan divenne un collettivo dove tutti praticavano la fase difensiva e offensiva, in continua evoluzione. È quello che in tanti stanno provando a fare».
Ancelotti napoletano è diverso da quello che conosce? «Carlo è uno che sta bene in ogni angolo del mondo, è l’uomo perfetto per allenare ogni squadra. Di persone intelligenti come lui ne conosco poche: lui all’obiettivo ci arriva, in una maniera o in un’altra. Perché in tema di conoscenze, coraggio, idee ed esperienza lui è un maestro».
Si emoziona ancora al ricordo del Milan degli invincibili? «Mi emoziona il ricordo degli 80mila di San Siro che quando seppero che me ne stavo per andare via cantarono per 90 minuti abbiamo un sogno nel cuore Arrigo allenatore. Mi pare di sentirli ancora adesso».
A Napoli sarebbe venuto ad allenare? «Me lo proposero. Subito dopo la partenza di Maradona. E mi offrirono anche più soldi di quelli che prendevo al Milan».
Sacchi, da chi ha tratto ispirazione il suo calcio? «Le immagini in bianco e nero dell’Ungheria di Sebes mi colpirono. Poi anche il Brasile e l’Ajax di Michels mi hanno stregato. In ogni caso, nella mia testa c’è ogni squadra che ha sempre cercato il gioco e non di sopravvivere. Perché il calcio è come la vita: ci vuole coraggio per essere i migliori di tutti».