Francini: “Il rammarico è quello di essere rimasti gli unici ad aver vinto”

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Lui c’era. Faceva parte dell’ unico Napoli “vincente”. Ne era il terzino, uno che ritornava e contemporaneamente spingeva sulla fascia. Giovanni Francini, fu protagonista dell’ avventura europea che portò a Napoli l’allora Coppa Uefa e della vittoria del secondo scudetto. Le sue emozioni, i ricordi, l’affetto mai messo in discussione per squadra e città. Ne parla ai microfoni de Il Mattino:
Che ricordi ha di quella partita in Germania? «Sulle prime eravamo un po’ tesi perché all’andata eravamo andati subito sotto. Avevamo avuto qualche difficoltà».
E poi? «Ribaltammo il risultato e durante la gara di ritorno a Stoccarda le cose andarono subito molto meglio. Segnato il 3-1 eravamo sicuri di vincere la coppa».
Ma ripercorriamo quella cavalcata fino alla finale contro lo Stoccarda: il momento più bello? «Forse le partite contro il Bayern Monaco: perché sembravano a tutti gli effetti una finale anticipata».
E la partita che ricorda con più emozione? «Sicuramente quella contro la Juventus. Perché innanzitutto le sfide con i bianconeri non sono mai eguali alle altre e poi perché all’andata avevamo perso 2-0 e ribaltammo il risultato con il gol di Renica al 119’».
Ma non solo. «Ricordo anche la prima partita della competizione, quella contro i greci del Paok perché non fu facile dal punto di vista ambientale».
Torniamo alla finale del 17 maggio 1989 a Stoccarda. «C’era Careca che il giorno prima della gara aveva avuto la febbre, ma noi eravamo belli carichi».
Lei ricorda il percorso di avvicinamento allo stadio? «Non avevamo la musica nelle orecchie come fanno i giocatori di oggi. In pullman ognuno si concentrava al suo posto».
Quali erano i suoi compiti? «Dovevo marcare Klinsmann e sui corner andavo sui giocatori più forti di testa».
Bianchi come vi aveva preparato alla sfida? «Ha sempre cercato di tenere le squadra carica come al solito».
Quella però non fu solo la coppa di Maradona. «Careca era un giocatore incredibile: uno degli attaccanti più forti che ho visto».
Mentre Diego? «Magari si allenava poco perché aveva sempre problemi alla schiena o al ginocchio, ma per noi sapere che sarebbe venuto a giocare la domenica era tutto».
Addirittura? «Diego era un leader, Messi non ha il suo carisma. Anche nelle partitelle durante la settimana non voleva mai perdere. Si arrabbiava. E questa cosa ti dava ancora più stimoli. Prima delle partite vedere lui così tranquillo tranquillizzava tutti».
Che ricordi ha della festa per la vittoria della coppa? «Siamo arrivati a Napoli tardissimo, quasi all’alba. A dir la verità a Stoccarda avevamo già festeggiato: c’erano tantissimi tifosi del Napoli. Una volta rientrati in città, quindi, abbiamo ripreso a festeggiare. Napoli era letteralmente paralizzata. Purtroppo siamo rimasti gli unici ad aver vinto qualcosa di così importante».
Le dispiace? «Molto, perché ho vissuto da calciatore la gioia di una vittoria importante e mi piacerebbe ripetere quelle emozioni da tifoso».
La festa più bella vissuta a Napoli? «Rimarrà indimenticabile il percorso che facemmo da Soccavo allo stadio nel giorno dello scudetto del 90». 
A distanza di 30 anni lei è rimasto ancora molto legato a Napoli come squadra e come città. «Napoli è ancora adesso la mia città e vengo una volta a settimana per alcune trasmissioni televisive. Vivo in Toscana e quando sento parlare male di Napoli, magari da presone che non ci sono mai state, faccio grosse litigate. Purtroppo Napoli viene sempre identificata in Gomorra, che non è stata una bella pubblicità. Questa città è uno spettacolo, al di là dei problemi comuni a tutte le grandi città del mondo».
E lei oggi cosa fa? «Ho lasciato da poco il settore giovanile di alcune squadre toscane tra Viareggio e Camaiore dove vivo».
Come mai? «Non vogliono capire che squadre di serie inferiori dovrebbero investire sui giovani e sulle strutture».
Ma le sarebbe piaciuto fare altro al di fuori del calcio? «Mi sarebbe piaciuto fare l’imprenditore, perché pur potendo giocare ancora per qualche anno ho deciso di smettere».
Come mai? «Mi pesava fare gli allenamenti: era diventata una sofferenza, non era più un piacere. Non saprei trovare un motivo in particolare». 
Il ricordo più bello della sua avventura con la maglia del Napoli? «L’incredibile boato del popolo del San Paolo in occasione della gara di coppa dei Campioni contro il Real Madrid. Credo che quella sia stata la serata più bella della mia esperienza in azzurro. Lo stadio era stracolmo. Per di più io realizzai il gol dell’1-0 che ci aveva ridato la speranza».

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