S. Esposito, ex azzurro: «Chi ha giocato con Pesaola e Vinicio, ha veramente raggiunto il massimo»
Non vedo partite né allo stadio né in tv: preferisco allenare i giovani a 71 anni
Salvatore “Ciccio” Esposito, 71 anni, e il cuore diviso a metà, un po’ azzurro, un po’ viola, come il Napoli e la Fiorentina. Lui, nato a Torre Annunziata, a 14 anni fu scovato nel Rovigliano da Egisto Pandolfini, gloria della Fiorentina e della Nazionale. Da allora, la Toscana è diventata la sua casa. Esordì in serie A il 23 ottobre 1966, sostituendo Kurt Hamrin, l’Uccellino che volò anche a Napoli. Mister, lasciò Torre Annunziata per Firenze a 14 anni. Eccolo al microfono de Il Mattino:
Si sente più fiorentino o napoletano? «Sono napoletano, le origini non ti lasciano e non si dimenticano.Ma la mia vita si è sviluppata in Toscana, e qui vivo».
A Napoli torna spesso? «Vengo giù frequentemente, a Napoli ho i fratelli, le sorelle, tanti amici».
Il calcio è stato la sua vita? «È la mia vita. La passione è sempre la stessa, e resto uomo di campo. Alleno i ragazzini della scuola calcio Usd Neri a Cavriglia, in provincia di Arezzo. Ogni giorno metto la tuta e faccio lezione».
I ragazzini la seguono? «Il problema sono i genitori. Ognuno pensa che il proprio figlio sia un campione, e allora sbuffano, protestano, pretendono, tutti vorrebbero fare gli allenatori».
Servirebbe maggiore umiltà. «Servirebbe anche maggiore equilibrio. I ragazzini pensano a imitare Ronaldo e i genitori li assecondano. Così, perdono tutti la testa. I bambini dovrebbero solo pensare a divertirsi, invece inseguono i loro idoli in tutto, anche nelle pettinature. Purtroppo, c’è scarsa cultura dello sport».
E qualche partitella la gioca ancora? «Gioco spesso, con le “Glorie viola” siamo sempre in giro. Con Ciccio Baiano, Faccenda, Pin, Riganò, Galbiati, ancora ci divertiamo. C’è sempre anche Antognoni, che non gioca ma è la nostra bandiera».
E allo stadio ci va? «Praticamente mai. Andare allo stadio sembra di andare in guerra, devi stare attento a tutto e a tutti. In verità, non vedo neanche le partite in tv, neppure ho l’abbonamento a Sky».
Ma per chi tifa? «Sono contento quando vincono Napoli e Fiorentina».
A Napoli giocò cinque anni, dal ‘72 al ‘77. «Un periodo bellissimo. Ancora oggi i tifosi ricordano quella squadra».
Un Napoli all’olandese. «Si giocava a zona, si adattò anche uno come Burgnich che aveva sempre marcato a uomo. Si attaccava tutti, anche i terzini».
I pilastri del centrocampo erano due napoletani, Esposito e Juliano. «C’era anche il povero Peppe Massa. Era una squadra di napoletani, con un giovane Bruscolotti e soprattutto Antonio Juliano, un vero capitano».
Oggi c’è solo Lorenzo Insigne in una squadra di stranieri. «Lorenzo è un grande giocatore, tiene alta la bandiera di Napoli. Ricordo un Fiorentina-Napoli in cui l’unico italiano in campo era proprio Insigne… Che tristezza!».
Qual era il segreto di quel Napoli? «Vinicio creò una squadra sbarazzina. Giocavamo spensierati, tranquilli. E poi, il San Paolo sempre pieno, ogni domenica 80mila spettatori».
Mancò solo la ciliegina sulla torta, lo scudetto. «Se non avessimo perso quella partita a Torino… Dominammo ma la Juventus vinse all’ultimo minuto. Sì, il rammarico è ancora tanto. Però in quegli anni vincemmo la Coppa Italia e il trofeo Anglo-italiano, qualcosa raccattammo…».
Arrivò a Napoli da Firenze, dove nel ‘69 aveva vinto lo scudetto. «Bella squadra anche quella. A centrocampo giocavamo io, De Sisti e Merlo, nessuno dei tre era incontrista. Ci chiamavano la Fiorentina “Yé-yé”, come la generazione dei giovani talenti del Real Madrid. Le racconto un aneddoto».
Dica. «Nel girone di ritorno, si venne a Napoli. Nel tunnel incrociammo Sivori e Altafini, gente che ti metteva paura solo a vederla. Altafini disse ad alta voce: “Dove vanno questi “Yé-yé”…?”. Si vinse 3-1».
Era un altro calcio. «A vedere quello di oggi… Basta pensare alla faccenda di Icardi». Però anche ai suoi tempi c’erano calciatori ribelli, Meroni, Chinaglia, Zigoni, lo stesso Altafini. «Guardi, io ho giocato con Amarildo, che un anno si beccò undici giornate di squalifica. Ma all’epoca le società erano forti, oggi comandano i procuratori».
Pesaola a Firenze, Vinicio a Napoli: due sudamericani-napoletani. «Ma vorrei ricordare innanzitutto Chiappella. Era una gran persona, un padre di famiglia, e soprattutto era bravissimo a costruire le squadre. Non a caso, Pesaola a Firenze e Vinicio a Napoli sfruttarono il suo lavoro».
Pesaola chi era? «Che personaggio, il Petisso! “Ricorda,mi ripeteva, noi siamo napoletani, io sono un argentino-napoletano”».
E Vinicio? «Era più tedesco che brasiliano. In allenamento, se fiatavi erano dolori. In campo ti faceva morire».
Quando lasciò Napoli, nel ’77, fu ceduto alla Sampdoria ma si ritrovò a Verona. Che successe? «Nel’75 fui convocato in Nazionale. Il direttore tecnico era Bernardini. Avemmo uno screzio, gli dissi che se dovevo fare panchina, meglio starsene a Capri. Quando fui ceduto alla Samp, Bernardini, che nel frattempo era diventato il direttore sportivo, mise in giro la voce che avevo problemi fisici. A mie spese feci tutti gli esami clinici, che ovviamente dettero esito negativo. Feci causa alla Samp, e andai al Verona con Valcareggi».
Appese le scarpette al chiodo, cominciò la carriera di allenatore. «Oggi, senza gavetta, ti ritrovi ad allenare in A. Io ho girato tutta l’Italia, partendo dalla Primavera della Fiorentina. Vincemmo anche un Viareggio».
In Campania, nel ‘97, vinse un campionato di C2 con la Turris. «Nessuno se l’aspettava. Partimmo in sordina,ma crescemmo e battemmo il Benevento nella finale playoff. Avevamo una bella squadra, tanti giovani e gente di esperienza come Dall’Oglio, Antonaccio, Baldini. Il Liguori era sempre pieno».
Fonte: Il Mattino