Beppe e Gianluca Savoldi a Il Mattino: i ricordi, quella finestra su Capri e le tavolate di pesce

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Hanno 29 anni di differenza, ma più che padre e figlio, sembrano due fratelli. D’altra parte hanno in comune non solo il sangue, ma anche una passione per il calcio. Quello giocato. Beppe e Gianluca Savoldi, attaccanti di epoche diverse, ma con il minimo comune denominatore del Napoli nel loro passato. Beppe è arrivato in azzurro quando il Napoli era stato costruito per vincere lo scudetto con Vinicio in panchina, Gianluca è approdato in serie B con il preciso compito di centrare la promozione al primo tentativo. A nessuno dei due è andata bene, ma entrambi hanno sempre Napoli, come posto speciale, nel loro cuore anche perché protagonisti della canzone «La favola più bella», interpretata proprio da Beppe quando era un calciatore azzurro.
Finito con il calcio, cosa fate nella vita?
Gianluca: «Faccio il papà di due piccolini».
Beppe: «Faccio il nonno di tre splendidi nipotini».
E poi?
Gianluca: «Dopo il calcio mi sono dato parecchio da fare. Ho ricominciato da un paio di anni ad allenare una squadra juniores, quella della Pro Sesto. Ma prima ho passato molti anni nel mondo della ristorazione. Alla fine della mia carriera avevo investito in quel settore. L’estate scorsa ho fatto anche il manager in un noto locale della Costa Smeralda. Ma il calcio resta il primo amore». 
Beppe: «Scherzi a parte, fare il nonno non è un impegno di poco conto: ci vuole attenzione. Non puoi sbagliare nulla. Ogni tanto faccio due tiri al pallone con il più grande, ma solo se me lo chiede lui. Prima che arrivassero loro gestivo un negozio di ottica a Bergamo, dove ora c’è mia figlia».
Dove vivete?
Gianluca: «Inizialmente a Bergamo per stare vicino al resto della mia famiglia, ma, da quando mia moglie ha smesso di fare la mamma a tempo pieno, ci siamo trasferiti a Como. Lei è nata qui».
Beppe: «A Bergamo con mia moglie. Qui c’è anche mia figlia. E poi Como non è lontana, quindi vedo spesso anche Gianluca e soprattutto i suoi figli». 
Raccontateci del rapporto padre-figlio.
Beppe: «Siamo molto legati. Anche quando Gianluca ha deciso di fare il calciatore io non l’ho mai sollecitato. Ho sempre avallato le scelte dei ragazzi. Volevo solo facessero sport a prescindere. Diciamo che lui è sempre stato ribelle per carattere e lo è tuttora. Uno istintivo. Mentre Guia è più razionale».
Gianluca: «Per quanto noi bergamaschi abbiamo un carattere chiuso, la famiglia è molto importante. Siamo sempre in contatto anche se non viviamo più nella stessa città. Quando giocavo ero sempre in giro per l’Italia e vedersi era più difficile. Ora con i nipotini ci si vede spessissimo. I nonni vogliono fare i nonni ma sono anche una preziosa risorsa per una famiglia in cui si lavora. Tra i due figli sono il più artista e mia sorella è quella più seria e studiosa». 
Più liti o più consigli?
Gianluca: «Consigli tanti dal punto di vista tattico e tecnico. Perché dal punto di vista delle scelte mi ha sempre fatto ragionare con la mia testa. Ricordo solo una grande discussione, quando l’Atalanta non mi volle portare in ritiro. Lui voleva che mi impuntassi e io invece ho preferito andare via senza impormi».
Beppe: «Innanzitutto l’ho sempre spinto a studiare. Pur permettendogli di giocare a calcio. Ricordo che gli avevo anche promesso dei premi al raggiungimento di alcuni traguardi scolastici, ma lui è andato avanti per la sua strada. Litigi non ne ricordo molti: quando dovevo dirgli qualcosa lo facevo senza problemi. Non mi sono mai nascosto».
Siete legati entrambi dall’esperienza calcistica a Napoli.
Beppe: «Doveva essere il mio esame di università, la mia laurea calcistica. E invece non sono riuscito ad esprimermi al meglio. Non solo per me, perché a calcio si gioca anche con una serie di fattori esterni: se non vanno tutti d’accordo non si riesce a raggiungere gli obiettivi».
Gianluca: «La mia è stata una scelta di cuore. Legata al fatto che mi sarebbe piaciuto proseguire la storia di mio padre. Sapevo che sarebbe stato difficile visto che lui ha fatto cose eccezionali. Poi purtroppo i miei 4 anni diventarono uno e ho subito anche un infortunio abbastanza grave».
Il ricordo più bello?
Beppe: «La vittoria della Coppa Italia al mio secondo anno. Entrare al San Paolo era un’emozione unica. Non gridavano Napoli ma Beppe Beppe».
Gianluca: «Il momento in cui sono rientrato dopo l’infortunio. Un gol contro l’Avellino mi ha ridato la sensazione di respirare il campo, per un attimo mi sono sentito guarito e sembrava finisse un incubo. Poi però tornarono le problematiche fisiche».
E il più brutto?
Beppe: «La mancata conquista dello scudetto che era l’obiettivo dichiarato a inizio stagione».
Gianluca: «Sicuramente l’infortunio. Se non l’avessi avuto, il resto della mia carriera sarebbe stato diverso. Ho avuto una discopatia che ho provato a gestire senza intervento, ma per fare velocemente non ho messo una piccola protesi che mi avrebbe aiutato. Un altro momento brutto è stato il fallimento che ha coinciso con la fine della mia avventura a Napoli. Ho il rimpianto di non aver potuto vivere quella esperienza in maniera diversa».
Gli amici di quel periodo?
Beppe: «Eravamo proprio un bel gruppo. Con Bruscolotti eravamo sempre insieme, o a casa sua o a casa mia. Ma anche con Vinazzani e Carmignani. Avevamo i figli piccoli, quindi ci vedevamo sempre a casa».
Gianluca: «Avevo buoni rapporto con tutti: Marcolin, Zamboni, Pasino e Brivio, con cui avevo giocato prima di Napoli. Questa città ti dà la possibilità di vivere qualcosa di magico e qua mi sono sposato a distanza di anni». 
Che posti frequentavate?
Beppe: «Solitamente si andava al ristorante Sarago. Ero cliente proprio affezionato e anche quando organizzavamo cene a casa, ordinavo là e poi passavo a prendere le cose da mangiare per tutti. Con Bruscolotti andavamo a Mergellina o a Posillipo da Giuseppone»
Gianluca: «Avevo casa a Posillipo. Si stava sopratutto a casa: ricordo delle belle cene. Poi anche un compleanno di Marcolin alla Sacrestia. Oggi mi manca vedere il mare e Capri dalla finestra».
Cosa avreste fatto se non ci fosse stato il calcio nella vostra vita?
Beppe: «Prima di fare il calciatore avevo studiato e preso il diploma di disegnatore tecnico. A Bergamo, da piccolino, andavo in uno studio a fare disegni. Poi quando ho smesso di giocare ho preso il diploma di ottico».
Gianluca: «Il mondo della ristorazione l’ho sentito molto mio. Mi piace stare in mezzo alla gente e il pubblico lì».

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