Marolda: “La Napoli delle divisioni ha imprigionato il pallone”

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Sembrava non dovesse mai succedere ed invece è accaduto. La passione non unisce più, semmai divide. Ciccio Marolda, dalle pagine del CdS, prova a spiegare il perchè:

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A due terzi di stagione e passa è secondo in campionato, è nei quarti della coppa europea di consolazione e si trascina dietro una sola figuraccia: quella in Coppa Italia. Che Napoli è? Di che Napoli si parla? Bella domanda. Perché complici un po’ di risultati, di prestazioni deludenti e grandi spaventi compreso quest’ultimo contro l’Udinese, la curva dei sentimenti e dei giudizi per ora non si fa mancare niente, se è vero come è vero che spazia dalla entusiasmante prospettiva della finale dell’Europa League sino a un pessimismo nero che in tanti spingono sino all’ingiustizia della parola “fallimento”. Strana storia, però. Perché il Napoli ha sempre unito e non diviso la gente e la città. E invece è come se all’improvviso fosse evaporato il piacere, fors’anche il privilegio di godere tutti assieme d’una sola squadra. Si capisce, idee diverse, contrapposizioni, ce ne sono state spesso, ma alla fine a prevalere è stata sempre la passione per quel bene comune in maglia azzurra. E ora? Ora la brutta sensazione è che la Napoli delle divisioni, dell’uno contro l’altro, del personalismo, del peggiorismo, abbia fatto prigioniero anche il pallone. Si divide su tutto, Napoli: dal San Carlo al San Paolo, dalle Universiadi alle grate del metrò del Plebiscito, dai chiaroscuri di un Caravaggio da staccare dalla parete del Pio Monte di Misericordia oppure no sino al colore dei nuovi sediolini dello stadio. E non è certo un buon auspicio se si disperde quel comune e diffuso senso d’appartenenza regalati in tempi moderni forse soltanto dal pallone. Intendiamoci, non che da queste parti il Napoli non resti centrale nei discorsi e nei ragionamenti, ma sembra non sia più il collante d’una volta. Perché? Perché il desiderio di vincere è diventato una pretesa e non basta più solo compiacersi di se stessi? Può darsi. Perché la città sportiva più esigente oggi mal s’adatta a stringere la cinghia anche allo stadio? Perché no. O forse è colpa – se colpa è – d’un Napoli troppo distante dalla gente e che, soprattutto, si ferma sempre più sul bello? A un niente dall’orgasmo del successo? E chi può dirlo. Cert’è, una riflessione non sarebbe male, così come dovrebbero essere chiare le responsabilità che accetta chi s’infila in quella maglia azzurra. Alzino la mano quelli del Napoli che hanno chiaro nella testa che per la città e per i napoletani il Napoli non è solo una partita vinta o persa, ma molto di più. Vabbe’. Lasciamo stare. La conta la faremo un’altra volta.

Fonte: CdS

 

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