Sono passati più di 20 anni, ma ancora oggi quando incontrano Giuseppe Volpecina per strada lo fermano e lo indicano come uno degli eroi della vittoria del Napoli sul campo della Juventus nella stagione 1986-87. Eroe per davvero, perché sul 3-1 finale c’è anche impresso a fuoco il suo nome. Complice quel terzo gol utile per mettere il risultato definitivamente in cassaforte per gli azzurri. Un successo che aprì al Napoli le porte per il primo scudetto. Oggi Giuseppe Volpecina si occupa ancora di calcio, ma dall’esterno.
Più precisamente, di cosa si occupa? «Mi diverto a fare l’osservatore per il Torino».
Come ci è arrivato? «Il capo scouting Antonio Cavallo è un amico, abbiamo giocato insieme a Pisa, e mi ha chiesto di aiutarlo. Andiamo in giro per l’Italia e l’Europa».
Cosa deve avere un ragazzo per colpire la sua attenzione? «Tecnica e fisico. Perché nel calcio di oggi servono sopratutto questi due elementi».
E poi? «Seguo le indicazioni dell’allenatore del momento, che nel caso di specie è Mazzarri. Noi ci dobbiamo un po’ adeguare. Ogni allenatore ha le sue caratteristiche e noi lavoriamo in base a quelle. Poi dipende anche dalle esigenze del ruolo e della squadra. Se trovi un talento buono per il futuro lo segnali».
Nel suo caso, chi fu ad accorgersi di lei da ragazzo? «Cané».
In che occasione? «All’epoca ero nelle giovanili della Casertana e mi misi in evidenza contro il Napoli allenato da lui. In quella stagione gli Allievi del Napoli dovevano fare un torneo a Rimini nel periodo i Pasqua e mi presero come prestito».
Come andò? «Vincemmo in finale contro la Juve e da quel momento il Napoli ha insistito per prendermi a tempo pieno. Cané era incredibile: capitava che dovevamo giocare due volte in un giorno e per farci recuperare ci faceva lui stesso i massaggi con acqua e sapone sui lettini»
Ma come avete preparato quella partita? «Quella fu una settimana particolare. Sapevamo dell’importanza della gara. A Napoli quella contro la Juve è una partita a sé. Vincere a Torino significava molto. Ecco perché quella era stata una settimana tesa e di concentrazione. Fortunatamente l’abbiamo porta a casa».
E l’attesa nello spogliatoio? «Ricordo che prima della partita Maradona si mise a palleggiare con un’arancia per sdrammatizzare e alleggerire la pressione. Anche lui secondo me aveva un po’ di paura e tensione».
Tra primo e secondo tempo di quella partita il clima era teso. «Nell’intervallo eravamo tesi perché non stavamo giocando come sapevamo. In campo andava in scena una sorta di finale tra due squadre forti e tutte e due avevano paura di commettere un errore. Noi a inizio secondo tempo ne commettemmo uno che ci è costato il gol del vantaggio bianconero».
E poi? «Credo che quella per noi fu una fortuna perché ci ha liberato mentalmente e abbiamo capito che potevamo batterli».
Bianchi cosa vi aveva detto? «Lui era un tipo freddo. Dal primo all’ultimo giorno ha sempre affrontato le partite con la stessa concentrazione e con le stesse espressioni. Il suo era un lavoro di equilibrio. Non si lasciava prendere dall’entusiasmo ma nemmeno dal panico».
Anche dopo la vittoria di Torino contro la Juventus? «Noi tutti eravamo euforici, mentre lui è rimasto freddo, equilibrato e lucido. Conosceva l’ambiente e sapeva che fino all’ultima partita non si poteva dire la parola scudetto. Anche quando perdemmo la prima partita di campionato a Firenze ci aspettavamo una tirata di orecchie e invece ci ha fatto capire che non era successo niente. Perché lui credeva molto nelle nostre qualità».
Poi lo scudetto e i grandi festeggiamenti. Ma riavvolgiamo il nastro: come inizia la sua avventura con il Napoli? «Tutto merito di Italo Allodi. Perché io giocavo al Pisa e lui che viveva a Firenze veniva spesso a vederci. Quell’anno in serie A avevo fatto bene, in particolare contro il Napoli. All’andata avevo servito l’assist per il nostro gol nell’1-1, mentre al San Paoli avevo marcato bene Maradona e noi vincemmo 0-1. Sono stato bravo a mettermi in evidenza e al Napoli per fortuna serviva un terzino».