Il numero 12. Sempre lì, sempre pronto. Poteva capitargli di giocare un minuto, una partita o un’intera stagione. Raffaele Di Fusco è stato il numero 12 del Napoli per 11 stagioni. In azzurro ha giocato appena 33 partite, circa 3 a stagione se si fa la media con il numero di anni trascorsi a Napoli. Non per questo, però, ha vinto meno degli altri. Due scudetti, una Coppa Uefa e due Coppe Italia. Insomma, per aver giocato così poco è uno dei più vincenti della storia del calcio italiano.
E oggi? «Faccio il pensionato».
Davvero? «Ho lascito da poco il ruolo di coordinatore del settore scolastico della Figc campana. E ho terminato la mia esperienza da preparatore dei portieri a Lecce dopo 16 anni».
Ma lei è stato uno dei numeri 12 più famosi del calcio italiano. «Erano altri tempi quelli».
In che senso? «Il numero 12 praticamente non esiste più. Oggi i portieri in rosa vengono alternati nelle varie manifestazioni. Quando giocavo io scendevi in campo solo se il titolare si rompeva la gamba. Noi numeri 12 dovevamo essere sempre pronti: potevamo entrare al 1′ o al 90′, vivevi la partita come un titolare. E la vetrina la guadagnavi nelle 5-6 partite che giocavi».
Quanto erano importanti quelle occasioni? «Da morire. Perché non era come oggi, con i contratti che sono pluriennali. Se giocavi bene quelle due o tre partite all’anno strappavi l’ingaggio per la stagione successiva».
Ora a Napoli praticamente ci sono due, se non tre portieri titolari. «Ai miei tempi era impensabile puntare su un giovane come Meret, anzi si cercava un portiere esperto. I giovani non erano mai presi in considerazione. Se non avevi almeno 30 anni non eri nessuno. Per i ragazzi era difficile diventare titolari».
A fine carriera si è dedicato ai talenti di domani come preparatore dei portieri. «Si tratta di un ruolo completamente diverso rispetto al calcio giocato perché metti a disposizione dei ragazzi le conoscenze che hai acquisito durante l’attività e ti dedichi alla crescita».
Chi le piacerebbe allenare dei giovani portieri di oggi? «Lavorare con Meret sarebbe il massimo».
Perché? «Ha un potenziale eccezionale. Come lui direi anche Donnarumma e Scuffet che sono giovani promettenti. In questi casi riesci a fare un lavoro unico. Meret in prospettiva è meglio di Donnarumma, ma gli manca l’esperienza. Gigio ne ha già il doppio. Perché è in partita che migliori. Adesso deve recuperare il tempo perso con l’infortunio. Deve acquistare anche esperienza internazionale».
Dei suoi allievi chi è che gioca in serie A? «L’unico giovane dei giovani che ho lanciato ed ora è in serie A è Gomis della Spal. Lo portai in prima squadra a Torino ed era certo che avrebbe fatto carriera».
Come mai solo lui? «Perché in realtà da allenatore dei portieri mi è capitato più di rimettere a posto portieri adulti che lanciare giovani promesse».
Tipo? «A Napoli dovemmo rimettere in piedi Fontana che veniva da sei mesi di infortunio e dovevamo farlo anche il prima possibile. Dopo quel periodo con me è andato all’Inter. Storia analoga a quella di Storari, che a Messina riportai in condizione e dopo ha spiccato il volo prima al Milan e poi alla Juve. A Siena ho avuto Manninger: qualcuno diceva che non poteva giocare in serie A. Dopo le mie cure è andato alla Juventus. Rimettere in piedi portieri che erano fermi da un po’ è stata una grande soddisfazione».
Per riuscirci ha anche inventato uno strumento all’avanguardia. «Da 12 anni è in commercio il mio deviatore di traiettorie».
Di che si tratta? «L’idea mi venne con Fontana. Ripensando a quando Lido Vieri mentre allenava Marchegiani colpì un tubo che era in campo per mantenere i teloni e il pallone cambiò traiettoria. A Napoli lo replicai con i tubi dell’acqua. Si tratta di uno strumento che ti consente di far lavorare il portiere sulla forza esplosiva ed elastica. La Juventus è stata la prima società ad acquistarlo. Oggi è venduto in tutta Europa. Ma con dispiacere dico che il Napoli non lo usa».
Una carriera che le ha dato tanto dal punto di vista dei trofei. «Ma non solo, perché in quel periodo in Italia c’erano i migliori campioni al mondo. Erano tutti da noi. Se pensiamo a Zico, Platini, gli olandesi del Milan, Maradona, Careca, Falcao, quello di allora era il campionato più bello del mondo. E poi in squadra avevamo compagni pazzeschi. Era uno stimolo quotidiano allenarsi con quel gruppo. Avevamo tutto».
A proposito, per un portiere come era allenarsi con quei compagni nel Napoli? «Maradona meriterebbe un capitolo a parte. E poi ricorderei la classe di Giordano, la potenza di Carnevale. Oppure Bagni che era una persona eccezionale. Quando ti allenavi in questi contesti non potevi non avere stimoli».
Il Mattino