L’approfondimento – di Riccardo Muni: “Ciao Capitano”
Nonostante il cinguettio societario che ne annunciava la permanenza in azzurro, Marek Hamsik volerà in Cina portando con sé undici stagioni e mezza con la maglia numero 17. La fine di un’era, dicevamo, lunga oltre un decennio. Marekiaro, come lo aveva ribattezzato Paolo Cannavaro durante un ritiro precampionato di qualche anno fa, era l’unico azzurro sempre presente dal ritorno del Napoli in serie A, dopo il tragico fallimento del 2004. Arrivò in Italia, dalla Slovacchia, proprio nelle stesse ore in cui la Napoli del pallone si trovava alle prese con la pagina più triste della sua storia. I tre anni della risalita dall’inferno sono serviti ad Hamsik per acclimatarsi con il calcio italiano, nelle file del Brescia, squadra in cui si è preparato per approdare in azzurro. È indelebile il ricordo della presentazione dei primi due calciatori acquistati da Pierpaolo Marino, all’indomani della promozione in massima serie.
Un ex elettricista argentino dall’aria scanzonata ed un giovanissimo ragazzo in infradito: il pocho Lavezzi ed Hamsik, appunto. Ne è passata di acqua sotto ai ponti da quell’estate del 2007 e ne ha fatti di gol quel ragazzo diventato uomo, con cresta e tatuaggi: 121 ossia 6 in più del D10S. Ne abbiamo vissuti tanti di momenti insieme al nostro capitano: la doppietta nell’incredibile rimonta in casa della Juventus, le due coppe Italia cinquistate, l’amarezza della finale di Pechino, vendicata a Doha due anni dopo. Le sue proverbiali incursioni dalla corsia mancina, spesso concluse con il pallone nel sacco e centinaia di assist per mandare in gol gente come Quagliarella, Cavani, Higuaìn, Mertens ed Insigne, che da Marek erediterà la fascia di capitano. La crescita durante i primi anni in azzurro, quelli con Edy Reja in panchina e la consacrazione nei quattro anni successivi, agli ordini di Walter Mazzarri. La parentesi infelice da trequartista, durante la gestione di Rafa Benitez, con le frequenti esclusioni che lo avevano relegato ai margini del progetto tecnico, fino all’esaltante triennio con Maurizio Sarri ed il suo sarrismo, di cui Marekiaro era il perno principale. Con Carlo Ancelotti è cambiato il Napoli E, con esso, anche il ruolo da ricoprire, un po’ per l’età ed un po’ per quel 4-4-2 ancelottiano che non ammette mezz’ali. Un nuovo ruolo, quello di regista, che Hamsik ha sempre accettato suo malgrado, ma mai digerito veramente. Amare, a volte, significa anche lasciare andar via ed il pubblico di fede partenopea, seppure con la morte nel cuore, lo ama davvero il suo capitano e non può che augurargli tutte le fortune del mondo. In fondo, siamo certi che nella sua nuova dimensione, porterà con sé un po’ di Napoli in campo. Cambia, di conseguenza, anche la squadra azzurra che ha già in squadra l’erede del fuoriclasse slovacco. Si chiama Fabiàn Ruiz e, oltre a notevoli doti tecniche, ha già dimostrato di avere il piglio giusto per assumere la leadership del centrocampo. Sarà strano non vedere più in campo il nostro capitano, che avrebbe meritato di vivere la gioia di uno scudetto all’ombra del Vesuvio e ci farà male saperlo altrove. Grazie capitano, per tutto quello che hai reso possibile con la nostra squadra del cuore.
Riccardo Muni