E’ stato un’unica stagione al Napoli, Beto. Precisamente quella 1996-97. Condita da alti e bassi. L’assenza nella doppia finale di Coppa Italia contro il Vicenza del 1997 resta la macchia più grande. Oggi la vita dell’ex attaccante è tutta incentrata in Brasile dove il calcio continua a ricoprire una parte importante, senza disdegnare l’impegno nel sociale. Con Alfredo Apicella sta lavorando per un progetto che possa portare a Napoli degli studenti brasiliani e lanciare messaggi nelle scuole contro la violenza, la discriminazione razziale, il bullismi e la droga.
Che ricordi ha della sua esperienza a Napoli? «Tutti bellissimi, anche perché Napoli è una città molto simile a Rio de Janeiro e mi sono sempre sentito in casa. La gente mi ha accolto molto bene e con molto calore umano».
Il momento più bello? «Sicuramente quando sono arrivato in città e ho avuto il primo impatto con la folla che mi aspettava sulla porta dell’hotel Vesuvio. Praticamente ricordo che si paralizzò il traffico per le moltissime persone che mi aspettavano e mi volevano vedere da vicino. Credo che quel momento sia stato così tanto emozionante che non lo dimenticherò mai. Così come non dimenticherò mai il grandissimo calore umano e le cose belle che mi furono dette in quell’occasione».
E quello più brutto? «La cosa peggiore per me sono state le due partite della finale di Coppa Italia che l’allenatore (Montefusco, ndr) non mi fece giocare senza mai darmi una spiegazione chiara circa la mia esclusione».
Parla della finale contro il Vicenza: come mai rimase fuori? «Onestamente non so le ragioni, ma ricordo che sono tornato molto nervoso dalla trasferta di Vicenza. Così tanto che mi ero addirittura ripromesso di non voler giocare più a calcio».
Addirittura? «Non capivo perché l’allenatore non mi aveva consentito di giocare e aiutare il Napoli a vincere la Coppa. Ero in piena forma a quel tempo, però lui non mi ha permesso di aiutare i miei compagni di squadra».
Oggi è ancora in contatto con qualche ex compagno? «Sì, sono in contatto con alcuni come il portiere Pino Taglialatela: ne ho molto nostalgia perché si tratta di una persona davvero impressionante».
Con chi aveva legato di più? «Quando arrivai al Napoli subito feci amicizia con tutti i componenti della squadra e tutti mi sono stati vicini e mi hanno dato sempre tanta forza, mi sono legato molto a loro e mi piacerebbe rivederli tutti ma uno in particolare: Luigi Panarelli, che allora era giovanissimo».
Passiamo al rapporto con gli allenatori: qual è quello che le ha insegnato di più in carriera? «Gigi Simoni su tutti. È stato un grande allenatore e gli sono piaciuto molto fin da subito. Mi ha aiutato tantissimo. Ma ricordo che era molto esigente con me perché conosceva il mio potenziale e voleva sempre spingermi al massimo».
Ci racconti la sua giornata tipo quando era a Napoli. «Nel tempo libero mi piaceva cenare nel ristorante A Fenestella di Marechiaro ma non solo. Ero solito prendere il caffè in via Posillipo o nei bar di via Petrarca. Con quel panorama che si poteva godere da quelle parti era un vero e proprio spettacolo».
Che rapporto aveva con i tifosi azzurri? «Con loro che ho sempre avuto le migliori relazioni possibili: è stato come un amore a prima vista».
Qual è il rimpianto più grosso di Beto durante la stagione a Napoli? «Sicuramente quello di non aver dato di più. Sapevo di poter essere un campione a Napoli ma i dirigenti non mi hanno mai dato l’opportunità di esprimermi al meglio».
Oggi cosa fa Beto? «Gioco nei Master del Flamengo e mi dedico al sociale. Faccio eventi in tutte le regioni brasiliane».
E poi? «Con il mio amico Alfredo Apicella abbiamo un progetto di interscambio tra Rio de Janeiro e Napoli».
Di cosa si tratta? «L’idea è quella di portare una delegazione di 30 ragazzi e ragazze, tutti studenti, che in tre momenti distinti possano fare delle rappresentazioni di danza hip hop che avrà come tema principale la difesa della donna».
E poi? «Ci piacerebbe organizzare una partita di calcio femminile dal titolo Un calcio all’emarginazione, alla quale potrei partecipare anche io. Sarebbe per me anche l’occasione ideale per tornare a Napoli».
Da giocatore di colore a giocatore di colore, cosa direbbe a Koulibaly per la sua battaglia contro il razzismo? «Gli direi che il nostro colore della pelle può non piacere a molta gente ma che noi non dobbiamo preoccuparci per questo, dobbiamo continuare ad andare avanti nella vita e dare sempre il meglio di noi stessi, sempre e in tutte le occasioni. Soprattutto non dobbiamo mai rispondere con l’odio alle offese ricevute».
Quello del razzismo negli stadi italiani era un fenomeno diffuso anche ai suoi tempi? «Purtroppo era già un problema serio, per il quale anche io ho avuto lo stesso problema di Koulibaly».
Ma se non avesse fatto il calciatore a Beto cosa sarebbe piaciuto fare? «Bella domanda. Davvero non saprei, perché ho iniziato a giocare a calcio fin da quando ero piccolissimo senza mai dare troppo peso agli studi. Ma ringrazio Dio per il grande dono che mi ha dato: il calcio».
Quando lei era bambino, qual era il suo idolo? «Il mio grande idolo è stato Romario, è stato il mio modello più grande. Potrei dire anche il grande Zico, ma lui non era della mia epoca».
Fonte: Il Mattino