Luigi De Laurentiis pazzo della sua squadra: “Sarà come Rocky Balboa”
E’ talmente coinvolto che, mediamente ogni cinque parole, dice “Bari”. Come se fosse un promemoria o un passaparola: qualcosa che gli interessa davvero e che memorizza a prescindere. Luigi De Laurentiis si è già immedesimato nel nuovo ruolo, presidente con licenza di scalare (le categorie). «Ma non dimentichi, tutto nasce da un’idea di mio padre Aurelio. Geniale, secondo me. Perché ha visto quanto aveva individuato quattordici anni fa, quando rilevò il Napoli».
C’è un punto in comune? «Capisco poco di calcio, esattamente come papà all’alba del nuovo progetto. In linea di massima ero, e non sarò più, quello degli Europei e dei Mondiali».
In che senso? «Per me il calcio era sintetizzato dagli eventi imperdibili, quando devi esserci per il tuo senso di appartenenza. Quando il tuo spirito prevale sul capirne o non capirne di quella materia. La fase finale degli Europei e quella dei Mondiali, appunto. Il gusto di partecipare, la curiosità di capire come sarebbe finita, il piacere di stare con gli amici. Una fetta d’estate dedicata a quegli eventi, stop».
Pochino. «Me ne rendo conto, ma le mie giornate sono sempre piene, pienissime. E non ho un minuto per respirare».
Ora cambia tutto. «Inevitabile, è un piacere. Vivo Bari, la mia settimana tipo è molto intensa».
In sintesi? «Da martedì a venerdì sera sono un cittadino pugliese. Poi torno a Roma, dove ho famiglia e gli altri interessi, e rientro a Bari soltanto se giochiamo in casa. Ne ho saltata soltanto una al San Nicola. Fin qui nessuna trasferta, ma mi tratto bene con Dazn, sono aggiornato e informato. Rigorosamente in full hd».
La squadra va benone. «Abbiamo lavorato con passione sul mercato, il giusto mix. Siamo stati chiari e non poteva essere diversamente: la serie B in tre anni, quindi vincere un campionato per volta, in modo da ripristinare un minimo di normalità per una città come Bari. E’ il punto numero uno di tre passaggi che riteniamo fondamentali. E non si poteva che partire dagli aspetti sportivi: vincere ci allena a vincere, non abbiamo altre strade. Pur rispettando chiunque e sapendo che non sarà una passeggiata. Ma è stato così anche per il Napoli di papà. Io ricordo».
Cosa? «I primi impegni, i campi di provincia, la disabitudine, tanti contrattempi, tutti che aspettavano il Napoli per provare a batterlo. Normale, quando frequenti categorie che non ti competono».
Gli altri due momenti chiave del vostro progetto? «Siamo per una gestione moderna dello stadio. Lei sarà stato al San Nicola, noi abbiamo attivato una fase di riflessione profonda. Stiamo valutando cosa fare, come fare e quando fare. Di sicuro saremo attentissimi».
Questo è il secondo punto. «Sì, glieli sto elencando così perché è normale partire dalla squadra e dai risultati da conseguire. Ma siamo ovviamente allo stesso livello di importanza».
Manca il terzo punto. «Nazionalizzazione e internalizzazione del brand».
E’ uno studio profondo. «In Italia c’è oltre un milione di persone, forse siamo più vicini al milione e mezzo, fidelizzate per il Bari. Vogliamo andare oltre. E abbiamo affidato alla Nielsen una ricerca che superi qualsiasi confine. Che possa rintracciare i club di tifosi in giro per il mondo, al punto da avere alla fine una schermata completa. Le racconto un episodio».
Prego. «L’altro giorno ho pubblicato sul mio Instagram la storia di una signora, Francesca, che mi proponeva i dolci, le ho chiesto le orecchiette… Ho il desiderio di vivere la realtà, quasi come se fosse un porta a porta. E in questo modo la fidelizzazione sarà totale. Ho imparato molto da mio padre che è un presidente atipico, un presidente in jeans e attento a qualsiasi tipo di problema o di evoluzione».
Speriamo che le orecchiette della signora siano buone. «Scherzi a parte, è una fase di ripartenza e dobbiamo stare attenti ai dettagli. La nuova responsabilità ti impone di vivere la città, a maggiore se sei fresco di nomina. Soprattutto hai il dovere, mi passi il termine, di stare sul marciapiede e di ascoltare qualsiasi messaggio».
La città ne ha bisogno. «Bari ci ha accolto con entusiasmo eccezionale. E lo possiamo capire perché è reduce da momenti difficili, vorrei dire assurdi, spesso vissuti con il terrore della profondità o meno di un nuovo progetto societario. Intendiamo restare accanto a loro».
E’ un ottimo inizio. «Ma conta la fine, abbiamo tanta strada davanti, vorremmo percorrerla con saggezza e soprattutto con i fatti».
Lei non è nuovo a iniziative del genere.
«A cosa si riferisce?».
A un’intervista rilasciata al Corriere dello Sport il 15 luglio 2017. Le sue parole testuali: «Il tifoso ha voglia di contatto sempre più stretto con i propri beniamini».
«Confermo, è la base di tutto, mi occupavo del Napoli».
E parlava di un’applicazione per trascinare l’appassionato nel mondo azzurro. «Partivamo da una base di 100 milioni di ammiratori, è sempre stato un mio pallino studiare quei dati. Devo capire con chi ho a che fare, quanti sono e soprattutto in che modo possono crescere. La fase di startup contiene simili aspetti, i tempi possono essere più o meno lunghi, sta a noi accorciarli con il capillare controllo del territorio. Mi aiuta molto l’avvocato Menichini».
In che modo? «Sono qui da martedì al venerdì per una fase molto attiva, in nome del Bari. Andiamo a pranzo con gli imprenditori, incontriamo gente, ci occupiamo dello stadio, parliamo con gli sponsor, teniamo i contatti con il Comune. Il mondo è cambiato, dobbiamo essere pronti».
Anche la tecnologia aiuta. «Torno al discorso di prima. Oggi puoi e devi stringere rapporti con chiunque, i contatti sono cambiati, il mercato è globale. Vai da Amazon e raccogli nuovi spunti com’è accaduto con il Bari. Io ho la fortuna di poter ripartire da quanto ha fatto papà. E mi sono messo in testa un verbo, soltanto uno».
Quale? «Fidelizzare. Bari e Napoli hanno un appeal straordinario, sono città nate per trasmettere entusiasmo, appeal, amore. Vuole sapere qual è stata la mia prima mossa?».
Siamo curiosi. «Il 13 settembre ho chiesto una totale apertura social, sintesi perfetta della totale inversione di tendenza nel mondo della comunicazione. Lo slogan è uno..».
Vincere? «Quella è una normale ambizione, uno dei tre punti suddetti. Normale. Ma lo slogan deve essere soprattutto quello di un’azienda che ha il dovere di fare sentire il tifoso come se fosse a casa, comodo e con qualsiasi confort».
Il cinema le ha dato le stesse soddisfazioni? «Sono due mondi completamente diversi. Ma certe cose non le dimentico».
La più importante? «Direi la più emozionante».
Ce la racconti.
Il fascino della prima volta. «Più che altro l’orgoglio di essere lì, a decidere con la tua testa, a cercare di non deludere prima te stesso e poi chi ti aspettava con ansia. Ho portato a casa il risultato. Quando ho visto il mio nome accostato a quello di papà nei titoli di testa ho vissuto la sensazione purissima, quasi da pelle d’oca, di chi sapeva di non aver tradito. Da quel momento…».
Continui pure. «A Los Angeles ho vissuto tantissimi momenti, spesso per lavoro e perché le produzioni cinematografiche nascono lì. Ma quel 2006 è indimenticabile».
Lei e Aurelio: quante volte vi sentite al giorno? «Due-tre volte, oppure soltanto una, non è importante questo. Sono orgoglioso del suo percorso, chiaramente mi riferisco a quanto creato nel calcio a Napoli. Se penso che la prossima settimana sarà a Parigi per la Champions».
Un bel traguardo. «Quando lui ha rilevato il club, il Napoli era sul gradino numero 520 o giù di lì. Ora è tra le prime 15 d’Europa, un balzo impressionante. Te la giochi con il Liverpool, e magari lo batti. E ti appresti a fare due partite con il Psg con percentuali limpide e inequivocabili di andare agli ottavi. Non mi sembra poco».
E’ un percorso che lei può ripetere a Bari? «I paragoni sono impossibili, spesso inopportuni. Mi piace un concetto, molto: dai campi della C alla Champions. Penso a mio papà e sono fiero».
Come procede la fidelizzazione? «Siamo appena partiti e la gente ha sottoscritto ottomila tessere. Non mi sembra poco, abbiamo deciso di tenere aperta la sottoscrizione».
Fino a quando? «Altre due settimane, chiudiamo a fine ottobre».
Puntate a diecimila tessere? «Sarebbe bello, una specie di zoccolo duro».
Floriano e Bolzoni due simboli di una campagna acquisti con i fiocchi. «Abbiamo più o meno pensato di mettere su un organico di serie D ripartendo dalla B che è sfumata per i motivi che conoscete».
E poi Brienza. «Passaggio eccitante».
Perché? «Perché è il simbolo di questo club. A me non interessa quanto gioca, come gioca, perché gioca, sono problemi di Cornacchini. Noi abbiamo studiato il suo percorso e abbiamo capito che il legame con la città e il suo senso di appartenenza meritassero una nuova chance».
Avrà un futuro in società? «Per il momento è il filo conduttore tra i giovani del Bari e le emozioni che sa regalare con le sue giocare. Vorrei dire, ma non so se farlo, magari qualcuno si offende».
Ormai è giusto dirlo. «Se penso a Brienza penso, con le dovute proporzioni, a Totti. Lui avrebbe potuto accettare altre proposte, smettere, oppure decidere di cambiare. Ma ha scelto noi, ha scelto il Bari, e siamo orgogliosi. Quindi, l’equazione è semplice».
Quale? «Brienza è il Totti di Bari».
Nelle proporzioni ci sta. «Ripeto, spero che nessuno si offenda».
E’ il famoso senso di appartenenza. «Il discorso che le avevo accennato prima. Quello che cerchiamo, sarà una ricerca continua».
Serie B in tre anni: e poi? «E poi Bari è Bari, ma non mi faccia passare per presuntuoso. So bene che nel calcio contano i risultati come nel cinema gli incassi al botteghino. Quindi non cascherò facilmente nella trappola delle promesse. Sarebbe dannoso per tutti, il nostro profilo è stato chiaro fin dal primo minuto in cui abbiamo respirato l’aria della città».
Però, sarebbe bello. «Cosa?».
Luigi contro Aurelio per un Napoli-Bari in serie A. Lo diciamo al netto del regolamento che non lo permetterebbe. «Sì, regole a parte, sarei poco sincero se dicessi che non ci penso».
Scadenza? «2022 o 2023, tanto per stare al gioco. Non mi chieda altro perché, ripetiamolo, si tratta davvero di un gioco. Però, certe volte con la fantasia vai oltre e sogni a occhi aperti».
Il Bari può essere un film? «Deve essere un grande film, ci tengo che lo sia».
Magari come “Natale a New York”? «Sì, quelle emozioni non spariscono e resteranno sempre con me. Trapiantate al calcio mi trasmetterebbero ulteriore gioia».
Ci aiuti a trovare l’attore protagonista, un simbolo che renda l’idea. «Rocky Balboa. Il mio Bari sarà così».
Che poi ci sta tutto. Dal primo Rocky che perde ai punti con il campione del mondo Apollo Creed a Rocky II che lo sfida nuovamente, che va al tappetto dopo quindici terribili round, ma che riesce a rialzarsi appena in tempo per sferrare il colpo decisivo. E per dedicare la vittoria alla moglie Adriana che da casa assiste in lacrime. Dentro una metafora perfetta, sarebbe l’inenarrabile gioia per l’avvenuta rivalsa di una città che ha dovuto incassare e digerire colpi bassi. Ci sarà tempo per arrivare a Rocky V, come la rincorsa di questo Bari che vivrà ogni round come se fosse una missione. E un patto d’amore rinnovato, indelebile, con la gente.
Fonte: CdS