Allenato a bruciare sul tempo gli avversari nelle trattative di mercato, Corrado Ferlaino ebbe un’illuminazione mentre trascorreva a Rio de Janeiro le vacanze del Capodanno 87, l’anno che sarebbe entrato nel cuore dei napoletani perché fu quello del primo scudetto. Vide in tv i gol dell’attaccante del San Paolo, Careca, soprannome di Antonio Oliveira Filho, classe 1960 come Diego Armando Maradona, che fu il primo a parlare del Napoli e di Napoli al bomber brasiliano. Attendibili cronache dell’epoca riferiscono che durante i Mondiali dell’86 i due si trovarono a discutere della squadra che animava la passione di una città e che sognava di vincere il primo campionato italiano annullando la supremazia del Nord. Diego forse già immaginava che con Giordano e Careca si potesse creare quel tridente «Magica» che però durò poco e non ebbe la fortuna che meritava.
Ferlaino si mosse a gennaio per acquistare Careca in primavera, a prescindere dalla conquista dello scudetto. Scelse come alleati in questa operazione l’agente Uefa Antonio Rosellini, assicuratore umbro che aveva l’ufficio per le polizze a Foligno e quello per gli affari calcistici a Rio de Janeiro, e Luciano Moggi, che era in quel periodo il direttore sportivo del Torino ma già offriva collaborazione al presidente del Napoli in attesa di assumere la direzione generale negli uffici di piazza dei Martiri.
Erano mesi di fermento nel mondo. Il premier sovietico Mikhail Gorbaciov, in un discorso al Parlamento, pronunciò le due parole che avrebbero abbattuto i muri dell’Est e cambiato la storia: «glasnost», cioè trasparenza, e «perestrojika», cioè rinnovamento. L’umanità cominciava a sognare un futuro diverso, senza cortine di ferro, mentre l’Italia si appassionava per altri sport: nell’atletica gli ori di Damilano e Panetta ai Mondiali di Roma, nello sci nasceva la leggenda del bolognese Tomba soprannominato la bomba, parola che guarda caso si sarebbe ritrovata nei cori dei tifosi del Napoli per Careca («Care’ tira la bomba tira la bomba»). I Girasoli di Van Gogh venivano acquistati all’asta per 38 milioni di dollari. Molto meno costò il cartellino del campione che aveva il soprannome del clown Carequinha e faceva ridere poco gli avversari: Ferlaino diede 2,6 milioni di dollari al San Paolo oltre a una quota dell’incasso dell’amichevole che si giocò a Fuorigrotta dopo la conquista dello scudetto. La notizia dell’operazione messa a segno dall’ingegnere in Brasile sarebbe dovuta restare segreta ma il giornalista del Mattino Franco Esposito superò tutti sul tempo anche grazie agli ottimi rapporti con l’agente di Careca, Giovanni Branchini, e il giornalista Gerardo Landulfo, amico del cuore del giocatore e suo interprete nei primi mesi napoletani.
Si creò una perfetta intesa tra il brasiliano Careca e l’argentino Maradona, così come era accaduto vent’anni prima tra Altafini e Sivori. Ma il Napoli non vinse nulla nel primo campionato. Subito eliminato dalla Coppa dei Campioni, avendo trovato il Real Madrid nel primo turno, arrivò in campionato alle spalle del Milan perché crollo fisicamente e mentalmente. Lo spogliatoio si era compattato contro l’allenatore Bianchi ma disperse energie in quella guerra intestina che sarebbe passata alla storia come la rivolta di maggio. Careca fece finta di non capire cosa stesse accadendo intorno a lui, così come avrebbe fatto anche negli anni successivi. Su un solo argomento era attentissimo, peraltro come la stragrande maggioranza dei suoi colleghi: i contratti e gli aumenti di stipendio.
In sei stagioni 164 partite e 73 gol, gli ultimi segnati nel 93 con la squadra guidata da Bianchi, che era stato anche il suo primo allenatore. Careca mise il timbro sulla Coppa Uefa 89 (giocò la finale a Stoccarda nonostante la febbre alta e segnò) e sullo scudetto 90. Sopravvisse oltre Maradona, con cui ebbe un rapporto di grande lealtà e amicizia. Mai geloso della sua gloria e dei suoi guadagni, il brasiliano aveva detto un giorno: «Io so che al primo posto tra i giocatori del Napoli c’è Maradona, al secondo c’è Maradona e al terzo ci sono io». Careca passa oggi i suoi giorni tra il centro sportivo di Campinas che porta il suo nome, la fazenda di famiglia e gli uffici dei presidenti di club europei a cui propone giovani giocatori. È stato anche a colloquio con de Laurentiis: sembrava vicino l’inizio di una collaborazione e invece il rapporto con il Napoli non è ripreso. Quanto è triste voltare le spalle alla storia. Fonte: Il Mattino
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