Boccia (Pres. Confindustria): “Con Ancelotti De Laurentiis ha alzato l’asticella, evidentemente se lo può permettere”
Il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, sta come tutti coloro che s’interessano di calcio: alla finestra, a vedere se la Nazionale dello smacco mondiale avrà le gambe davvero forti e veloci per ripartire e andare avanti, magari anche meglio di com’è oggi. A Viale dell’Astronomia non è l’ora di formulare giudizi, ma ancora meno lo è di fasciarsi la testa.
Due temi, in particolare, sono al centro del ragionamento di Vincenzo Boccia: la scoperta del Napoli punta d’eccellenza non solo della nouvelle vague, ma in generale del movimento. E il secondo “quello del nostro sistema calcio” ovvero della velocità di agire per non trovarsi indietro rispetto al resto dell’Europa, che è in continua crescita.
Lei è salernitano e nel calcio concede la sua esclusiva alla squadra della sua città, oppure guarda con simpatia anche il Napoli?
«Seguo il calcio come grande fenomeno sociale, ma non sono tecnicamente quel che si definisce un tifoso. Da motociclista appassionato e “militante” appena posso, anche se oggi mi è molto difficile, metto il casco e mi faccio un giro sul bellissimo tracciato di semi montagna alle spalle della mia città, Salerno. Naturalmente mi fa piacere, in compagnia di amici, seguire la Nazionale».
Quest’anno la sua regione ha schierato due squadre in A e altrettante in B, buon risultato sul piano sportivo, dicono che il calcio sia un indicatore economico. La Campania e il Sud in generale a che punto sono?
«Il calcio talvolta segue, talvolta precede l’andamento dell’economia, anche se non c’è una regola. In questo momento la Campania è la regione del Sud che ha i risultati economici migliori, eppure non sono bastati a far sì che il Benevento, nonostante il buon girone di ritorno, restasse in Serie A o che il Napoli vincesse lo scudetto, nonostante avesse vinto a Torino con la Juve. D’altra parte, sono ormai diversi anni che il Napoli è una delle realtà più importanti del campionato, mentre l’exploit del Benevento è tutto da confermare, vedremo se sarà capace di tornare subito nella massima serie. Voglio ricordare che anche l’Avellino è stato per alcuni anni in serie A, anche se allora era più facile mettere in relazione il buon andamento della squadra con il fatto che Ciriaco De Mita all’epoca fosse presidente del Consiglio. Ovviamente, anche questa correlazione non era scientifica».
Ancelotti è un allenatore di caratura internazionale, contribuirà alla crescita del club sul mercato mondiale oppure occorre altro (calciatori di fama, investimenti strutturali etc)?
«Carlo Ancelotti è uno di quegli italiani schivi e concreti che ha vinto nel calcio dovunque sia andato in Europa. È una autentica bandiera del made in Italy calcistico, e ho molto apprezzato che abbia scelto di tornare in Italia dicendo sì a Napoli e a De Laurentiis. Il quale, voglio aggiungere, sta lavorando molto bene. Mi sembra un segnale importante: il calcio come l’economia è globale, c’è la fuga e il ritorno dei cervelli e anche degli allenatori».
De Laurentiis fa del fair play finanziario la forza del suo club. Eppure, il rischio d’azienda, gli investimenti anche in deficit, se ben calibrati, aiutano a crescere, che ne pensa?
«Ancelotti darà un contributo importante, può attrarre anche calciatori che magari non avrebbero messo Napoli nei primi posti della loro lista. Non entro nelle scelte gestionali della società. Tuttavia, penso che nel calcio saper conciliare investimenti, entusiasmo e adesione dei tifosi con i risultati sportivi sia molto importante. Se De Laurentiis ha ritenuto di poter alzare l’asticella, vuol dire che ha fatto bene i propri conti. Io sono un convinto europeista e, pur nella mia riconfermata agnosticità calcistica, gli auguro di vincere la Champions. Sarebbe un bel segnale per il Mezzogiorno».
È la Juve la società modello? Per il calcio è una risorsa o un problema che il club degli Agnelli domini incontrastato da anni, annullando la concorrenza?
«Certamente, da molti anni la Juve è un modello di buona gestione aziendale in un settore che è il decimo del Paese in termini di fatturato. In Europa tuttavia non ha mai brillato, forse perché si è adagiata troppo sulla supremazia italiana. Oppure, non ha ancora la taglia economica dei club che sono soliti vincere, come Real Madrid, Barcellona o i club inglesi».
Il contributo del calcio alla crescita del PIL è superiore allo 0,7%; il valore aggiunto generato per l’economia italiana è superiore ai 21,8 miliardi di euro. È ancora poco considerando le potenzialità del settore?
«Rispetto alle esperienze inglesi e spagnole certamente sì. I club inglesi hanno saputo sconfiggere gli hooligan, riportare le famiglie negli stadi e attrarre grandi investimenti esteri, mentre Real Madrid, Barcellona e Atletico sono le squadre più vincenti degli ultimi anni in Europa. Ora anche il campionato francese sembra insidiare da vicino la qualità e il valore economico di quello italiano. Come l’industria difende con forza il suo ruolo di secondo paese manifatturiero d’Europa, così il calcio italiano deve saper ritrovare la sua leadership. Da questo punto di vista, conto molto sul lavoro di Gaetano Micciché alla Lega Calcio e sui piani di presidenti come De Laurentiis. Non deve accadere più che la Nazionale resti fuori dai Mondiali: in Russia, nonostante le sanzioni, sarebbe stato un ottimo testimonial per le nostre aziende».
In Europa sono arrivati enormi investimenti cinesi e arabi, in Italia quasi nulla, se non addirittura gruppi abbastanza indefinibili che hanno acquistato il Milan e ora sull’orlo della crisi. Perché siamo così poco attrattivi?
«Per la verità i cinesi hanno acquistato anche l’Inter, e sembra che lì le cose vadano un po’ meglio. Negli investimenti dall’estero tuttavia bisogna tener conto di due elementi: in generale i capitali scelgono sistemi e paesi affidabili e non solo singole aziende o squadre di calcio, e poi bisogna tener conto del fatto che il capo dello Stato cinese, grande appassionato di calcio, dopo aver messo come obiettivo del partito e del governo la conquista della supremazia calcistica in un numero ragionevole di anni, ha poi ritenuto di frenare un po’ gli entusiasmi delle imprese cinesi negli investimenti calcistici all’estero. Gli investimenti esteri nelle squadre di calcio portano capitali nel Paese e questo è importante. È chiaro che l’Italia deve essere più attrattiva, e non soltanto nel calcio».
Fonte: CdS