Il crociato che fa discutere. Un curriculum chilometrico quello di Paolo Terziotti, 46 anni, veronese. Scienziato dello sport, professore a contratto in tecnologie e scienze applicate al calcio all’Università di Ipswich, Inghilterra; poliglotta (parla anche inglese, polacco, ceco e spagnolo). Al telefono da Varsavia, il professore analizza con chiarezza lo stillicidio del crac dei crociati in serie A. «In quindici anni di attività, nessuno dei giocatori che ho avuto alle mie dipendenze si è rotto il crociato in maniera non traumatica».
E quindi? «E quindi, se un calciatore s’infortuna così seriamente in modo non traumatico, significa che è stato commesso un errore durante la preparazione e che i preparatori devono avere la forza di fare autocritica perchè, evidentemente, qualcosa non ha funzionato. Per esempio: sono fondamentali il monitoraggio biomeccanico e biologico del bicipite femorale e il controllo costante delle articolazioni. E’ altrettanto decisiva la prevenzione giornaliera. Giorno per giorno, occorre costruire l’equilibrio fra il quadricipite e il bicipite. Non voglio entrare in tecnicismi eccessivi del nostro lavoro, ma le basti sapere che, per raggiungere questo equilibrio, mediamente sono necessari almeno tre mesi. Naturalmente, non bisogna lasciare nulla al caso. E qui sta il punto».
Terziotti conosce la malinconica contabilità dei crociati romanisti, per esempio: «Non mi permetto di entrare nel merito del lavoro degli autorevoli colleghi Darcy Norman ed Ed Lipie, i preparatori americani della Roma. Sono certo che il confronto quotidiano con Di Francesco e il suo staff, permetterà loro di individuare le cause di questa catena di infortuni. Negli ultimi quindici anni, il lavoro del preparatore ha acquistato sempre più importanza nell’economia della stagione agonistica di una squadra. Le ripeto: la fatica deve essere certosina e quotidiana, puntando molto sulla prevenzione che si raggiunge senza lasciare nulla al caso. Non conosco alternative a questa metodologia di lavoro».