Jacobelli a Biscardi: “La moviola ora goditela, Aldo. E’ tutta tua”
Xavier Jacobelli: un grande editoriale a Biscardi
La presa della caviglia è stretta. “Stai qui, non andartene, dai. Fate la pace”, borbotta sottovoce, chinandosi sotto il tavolo mentre la telecamera guarda altrove. Sibilo: “Non ci penso nemmeno. Molla la caviglia. Mi alzo e me ne vado, quando è troppo e troppo”. E lui: “Va beh, vuol dire che la pace la farete lunedì prossimo. In diretta, naturalmente”. Ieri, quando ho saputo che Aldo se n’era andato, ho ripensato a quella volta, la prima e unica che l’ho piantato in asso, in diretta, al Processo. La discussione con Maurizio Mosca era andata sopra le righe, in un crescendo biscardiano che aveva mandato in brodo di giuggiole il padrone di casa. Ma noi no, salvo poi chiarirci le idee e tornare a baccagliare in quella che l’eponimo chiamava amabilmente “la più bella gabbia di matti della tv”.
LA REGOLA. Gocce di memoria piovono copiose, adesso che lui è lassù, con Maurizio, suo grande amico; Gianni Brera, Ezio De Cesari, Gianni Agnelli, Giulio Andreotti, Sandro Pertini, Vladimiro Caminiti, Gianmaria Gazzaniga e il battaglione di tutti gli altri ospiti del Processo, occasionali o stanziali, che l’hanno preceduto alle porte del cielo. Ai quali, riabbracciandoli, è presumibile abbia reiterato la regola della casa: “Non parlate tutti insieme, al massimo tre alla volta, sennò a casa non capiscono nulla”.
“ABRAHAMOVIC”. Trentotto anni fa, Biscardi ha portato il bar dello sport in tv con un’intuizione geniale e terribilmente anticipatrice del calcio social. Oggi, se soltanto ne avesse avuto il tempo, adattando alla Rete la sua pallonara commedia dell’arte, avrebbe firmato un record di indicizzazione su Google, dopo avere stabilito il primato del Guinness con la trasmissione più longeva nella storia della tv. Biscardi ha rivoluzionato il lessico del telecalcio, fra battute icastiche, gaffe proverbiali, gag e crasi fulminanti (leggendario il suo “Abrahamovic”, nato dalla fusione di Abramovic e Ibrahimovic), temerarie scelte tricologiche e implacabili intuizioni cronistiche. Perché, prima di tutto, Aldo è stato un grande giornalista, nell’accezione etimologica del termine. Un infallibile rabdomante dei gusti del pubblico, uno che cinque minuti prima di andare in onda, alla bisogna stravolge la scaletta del programma facendo impazzire Elisabetta Copetti, la sua storica, bravissima assistente; Antonella e Maurizio, figli, eredi e divertiti complici dei guizzi dell’irrefrenabile padre. Maestro nella moltiplicazione delle telefonate in arrivo per i sondaggi (“Ne abbiamo ricevute centomila in pochi minuti”, il tormentone preferito), quando ancora i like sono di là da venire. Acceleratore spaziale delle bombe di mercato, la cui esplosione ama anticipare prima della pausa pubblicitaria (“Così il pubblico non ci molla”). Sornione confezionatore di confronti senza rete. Come quando, inizio d’anno ‘88, Sacchi è in bilico sulla panchina del Milan. Il Corsport titola in prima pagina: “Arrigo resta”; un altro giornale sostiene l’opposto. Il lunedì, in diretta, Aldo affianca le due tesi l’una accanto all’altra, chiama Berlusconi e gli chiede: presidente, chi ha ragione? Silvio ribatte: chi ha scritto che Sacchi resta? E Aldo: “Il Corriere dello Sport”. Berlusconi: “Allora è vero”. Eppure, con il Cavaliere non sono tutte rose e fiori. Sempre in diretta, è il ‘93, a proposito delle sue deposizioni spontanee rese al giudice Maria Teresa Cordova nell’indagine sull’applicazione della legge Mammì, Berlusconi gli urla furibondo al telefono: “La vostra è una trasmissione ignobile. Io mi sono stufato di certi nipotini di Stalin… Il vostro è un programma ignobile… professionisti della mistificazione”. Aldo incassa il colpo. Imperturbabile, ribatte: “Presidente, la cassetta! Si riguardi la cassetta”.
L’altro tuona, Aldo gongola, l’audience vola. Poi un giorno, lui strizza l’occhio e ti racconta: “Con Silvio è tutto a posto. Ci vogliamo bene, così bene che non soltanto mi ha fatto fare tanti sgub al Processo. Quando ho lasciato la Rai e sono passato a Telepiù mi hanno ricoperto d’oro: sono sicuro che il merito sia stato anche suo…”. E’ a Telepiù, all’epoca semiclandestina neonata emittente satellitare, che Aldo trasferisce il bagaglio del Processo, prima del passaggio a Tmc di Vittorio Cecchi Gori, poi La7 di Tronchetti Provera. Il terrore di Biscardi è proprio Cecchi Gori: non perché sia il suo editore, ma perché, in quanto presidente della Fiorentina, a volte, il lunedì sera, chiama mezz’ora prima della messa in onda annunciando uno dei suoi torrenziali interventi. Aldo abbozza. E confida: “Con tutto il rispetto, se Vittorio parla per cinque minuti va bene, se la tira lunga diventa uno sfollagente”.
LA MOVIOLA. Ho frequentato per molti anni il Processo e mai una volta Aldo si è permesso di mettere becco in ciò che dicevo. Soprattutto quando attaccavo il Palazzo e gli uomini del Palazzo gli rompevano le scatole perché mi lasciava libero di dire ciò che pensavo. Lui se n’è sempre fregato. La battaglia per la moviola in campo è stata la sua campagna più importante e la sua più grande vittoria.
Fonte: CdS