De Laurentiis: “Szczesny a Napoli? Non avrebbe fatto il secondo. Il rinnovo più complicato? Mertens”

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De Laurentiis ai microfoni del corriere dello sport

Factory della Comunicazione

De Laurentiis torna da Los Angeles e ritrova il suo Napoli primo in classifica: cos’è, un kolossal?
«Non sono sorpreso ma neanche esaltato: so bene che i conti si fanno alla fine e che certe posizioni assumono un valore assai significativo a marzo».

Qualcosa è cambiata rispetto ad un anno fa?
«Direi che nella stagione passata siamo stati sorpresi dall’infortunio di Milik, che ha costretto Sarri a sacrificare alcune settimane prima di individuare la soluzione giusta. E’ stato probabilmente quel periodo che ci è costato l’handicap rivelatosi poi determinante nella corsa per lo scudetto. La fortuna non ci è amica e il problema si è riproposto, rimandando di nuovo il povero Arek sotto ai ferri: ma ora è successo tutto con un mesetto d’anticipo rispetto all’incidente precedente e a gennaio ci sarà una sosta lunga che potrebbe agevolare il recupero del ragazzo».

Intanto, vi eravate cautelati acquistando Inglese.
«E mi verrebbe da dire: non so se siamo stati lungimiranti o ce la siamo tirati. Con il Chievo abbiamo trovato l’accordo in chiusura di calciomercato, proprio nella malaugurata ipotesi che potesse accadere un imprevisto e sottolineando che, in caso di necessità, avremmo portato Inglese da noi. Ma vedremo…Parleremo. I rapporti sono ottimi».

Chi l’ha colpita in questa fase d’avvio della stagione?
«Mi ha sorpreso – e positivamente – la capacità di Di Francesco di essere immediatamente competitivo, pur con una squadra che ha perso tasselli potenzialmente importanti. E tra l’altro di esserlo in una città complicata, esigente, in cui c’è un senso critico più sviluppato rispetto a Napoli, dove c’è una forma di innamoramento marcato. Io ho amici carissimi, tifosi giallorossi, che alle prime avversità si lasciano andare, si abbandonano alle analisi più disparate: pure quello è legame forte, ci mancherebbe, ma crea ansia».

E’ lecito sostenere che, negli anni più recenti, avete compiuto una autentica rivoluzione culturale: una volta, al San Paolo andava di moda il «noi vogliamo vincere»; adesso sembra che la gente non sappia fare a meno dello spettacolo, a cui il Napoli di Sarri l’ha abituata.
«Devo dire che sono sensazioni che colgo anche io. Io lavoro per il mio pubblico e questo ruolo da capolista so che li rende felici, perché permette di concedersi qualche piccolo sfottò. Ma io so bene che il tifoso ragiona diversamente, ne ha facoltà ed è giusto, accetto le critiche; però, forse, è stato colto il senso del nostro Progetto. Quando volli Sarri, per fare un esempio, ci furono striscioni di contestazione; e pure alla fine di questa ultima sessione del mercato, s’è detto che avevamo investito – diciamo – con prudenza. Il campo ha premiato la scelta di Sarri, anche se nessuno ha mai esposto uno striscione per ringraziarmi; e quanto alla politica societaria, mi sembra che la conferma di tutti e l’adeguamento dei contratti, che ha portato il monte ingaggi su cifre che ormai si conoscono, rientri tra le felici intuizioni».

Sette rinnovi in serie: conceda qualche curiosità.
«Con Mertens è stato complicato, anche perché intanto erano cambiati i manager e dunque fu necessario rivedersi più volte: ci è voluto un anno, circa. E con Insigne sono bastati sei-otto mesi. Ma la nostra intenzione è stata sempre quella: consolidare un organico che ritenevamo competitivo. Sono rimasti tutti, ci abbiamo aggiunto Ounas e Mario Rui, che sa tutto di Sarri e non ha bisogno di dover imparare. Questo inizio di stagione è la naturale conseguenza del grande finale di quella passata».

Sarri è un capitolo a parte…
«Sta crescendo, meravigliando ed arricchendo ulteriormente la sua enorme cultura calcistica con un gruppo che, rispetto alle esperienze che ha vissuto, è più numeroso e pure di qualità indiscutibilmente superiore. Qui può divertirsi a lungo, fin quando vuole, persino cambiando modulo, se lo riterrà opportuno».
E quella clausola da otto milioni di euro diventa un pericolo…
«Io di Sarri ero innamorato prima e lo sono ancor di più oggi. Ha un gran dono: non è un rompiscatole e con lui si può parlare di tutto. Spero che resti con noi almeno dieci anni, altrimenti ce ne faremo una ragione e ne dovremmo trovare un altro. La clausola non mi preoccupa e se la salute mi assiste vedremo dei gloriosi anni azzurri».

Qual è lo stato di salute del calcio?
«C’è una evidente sproporzione tra i club e il campionato a 20 squadre non è veritiero. Apprezzo moltissimo Campedelli, che gestisce nel modo giusto un club che ha origini in un quartiere di Verona, ma c’è chi viene in serie A per prendere il paracadute della retrocessione, una invenzione di Lotito – che ambiva alla poltrona di presidente della B – per guadagnar consensi».

Ha soluzioni?
«Vanno migliorati i risultati economici. Penso alla vendita dei diritti televisivi all’estero: il ministro Lotti avrebbe dovuto fare in modo che ci fosse assoluta libertà, invece ci siamo trovati con Infront che è andata ad offrirli, che so?, a Londra, senza che ci fossero rappresentanti di club. Io sono critico perché vorrei veder migliorare questo calcio nel quale è difficile essere ascoltati. In Italia, e vale per qualsiasi livello, non si è mai in grado di valorizzare i risultati».

All’Eca l’hanno nominata Chairman del Marketing e della Comunicazione.
«E’ un incarico con il quale spero di poter imprimere una svolta, organizzando riunioni mensili, perché qui il mondo cambia di continuo. Ho avuto modo di dialogare con Ceferin e l’impressione è stata notevole: ho fiducia in lui, viene dalla Slovenia, una terra libera».

Torniamo al suo Napoli e andiamo per ordine e ruoli: Reina.«Ci siamo arenati sul rinnovo dopo la richiesta del suo agente, che avrebbe voluto un triennale, un lusso che il fatturato del Napoli non si può permettere. Ma la stagione è lunga».

Volevate però Szczesny...
«Che non sarebbe venuto a fare il secondo. La sua è stata una scelta e per chiudere certe trattative, lo ricordo, bisogna essere sempre in due».

Rimane ancora un interrogativo Ghoulam.
«Una persona adorabile, un professionista eccezionale, un atleta straordinario che terrei con me per sempre. Però stiamo discutendo e vedremo se sarà possibile far conciliare le diverse posizioni. Nel caso in cui non fosse possibile, dovremmo pensare ad altri. Ma, ad esempio, Mario Rui è arrivato anche per fronteggiare, eventualmente, un addio per noi inaspettato. E comunque Ghoulam non andrà via a gennaio. Sul valore della clausola, mi sembra poi indiscutibile, la decisione è nostra, cioè mia».

La Juve pare dia segnali di nervosismo.
«Può darsi che dopo aver vinto sei scudetti consecutivamente ci possa essere un piccolo stato d’ansia. Aver perso, nel tempo, una serie di calciatori importanti – adesso Bonucci, ma prima Pogba ed anche Pirlo – ha tolto parecchio tra difesa e centrocampo ma anche in chiave realizzativa. Pirlo con le punizioni, all’epoca, risolveva le partite; e Pogba, considerati vari fattori, io lo avrei tenuto tutta la vita. A proposito, ho cenato a Los Angeles con Del Piero, che sta per aprire un ristorante: persona deliziosa».

Sull’inibizione del presidente Agnelli, quale idea s’è fatto.
«Non conoscendo gli atti, non mi posso pronunciare».

Il Var ha fatto irruzione prepotentemente.
«E che sia benedetto. Sono piccole soste che dànno aria, come se fossero dei time out. Si è elevata la figura degli arbitri, c’è più onestà in campo».

Per voi, pochi tifosi in Champions.
«Avevamo prezzi coerenti per una partita del genere che andava in diretta tv».

Ma quando torna al San Paolo?
«Sono scaramantico…».

Giochino finale: dovesse scegliere, scudetto o Champions?
«Mai mettere limiti alla divina provvidenza».

 

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