Approfondimento – di G. Calabrese: “Tanti auguri, capitano! 30 e lode all’ ultimo dei Mohicani!”
Adesso si ferma più o meno così (vedi foto) e se la gode tutta, l’ovazione della sua gente. Già, la sua gente. Quella che ha scelto, che ha voluto e che lo ha scelto e lo vuole. Sempre di più, non smettendo mai di suggellare questa speciale corrispondenza di amorosi sensi parteno-slovacca. Chi lo avrebbe detto quel giorno di dieci anni fa, quando si presentò “ufficialmente”ai napoletani calzando sandaletti di gomma da spiaggia?
E, invece, una decade in azzurro, 120 mesi senza ripensamenti, il ragazzino che diventa uomo, padre, marito. Passando da Mister X a Marekiaro, confermando sempre di voler essere solo quest’ultimo. Il tuttocampista dal perenne equivoco tattico, il finto trequartista di qualcuno, la mezzala di qualche altro, il vertice basso davanti alla difesa di qualcun altro ancora. Tutto ciò e molto altro è Marek Hamsik. Il giocatore dal busto eretto, dalla costante testa alta, dall’ incedere principesco ed elegante, dai piedi educati e divini. Il ragazzo con i passaggi dai giri contati e dall’ intelligenza tattica fuori dal comune, il calciatore dagli inserimenti repentini, capace di mangiarsi le praterie che gli si aprono davanti e di vedere le posizioni dei compagni con gli occhi che ha posizionati dietro la nuca. Marek Hamsik, quello a cui si chiede di essere più tignoso, più cattivo, più rognoso. Quello che, se così fosse, non sarebbe Marek Hamsik, uno slovacco che, con estrema grazia, al pallone dà del tu. L’esponente di un calcio ormai passato di moda, quello che crede nelle bandiere, nell’ appartenenza. Lui che alle vittorie ed ai trofei che, probabilmente, avrebbe conseguito da altre parti, ha scelto di riempirsi di San Paolo, di bearsi dei suoi cori e di crogiolarsi in quel senso di protezione e beatitudine che ormai gli è dovuto. Perchè a lui tutto è concesso, tutto è perdonato. Perchè lui è Marek Hamsik, è questione di cuore e, si sa, al cuor non si comanda. In una realtà che non risponde più agli stimoli territoriali e di appartenenza, lui ha deciso di appartenere. Pur non essendo nato all’ ombra del Vesuvio, ora appartiene a Napoli e, dopo i saluti al calcio di Totti (romano de Roma) resta, davvero, l’unico baluardo di qualcosa dal sapore antico. Una bandiera. Una sola. Azzurra. Per sempre. Spegne trenta candeline Marekiaro, lo fa a casa sua, l’altra, in Slovacchia. Ha fatto 30 il capitano e merita la lode. Ricercato, leale, generoso. Ha deciso di vivere la sua carriera in maniera romantica, come un’avventura vecchio stile. Quel che resta di un calcio che ci piaceva di più, quello dei simboli. Quello dei Mohicani che combattono per la loro terra, quello dove, alla fine, vince il superstite. Ed il superstire è l’ultimo dei Mohicani. E’ Marek Hamsik. Auguri, capitano!
a cura di Gabriella Calabrese