La cassaforte Napoli, in 13 anni una salita pazzesca. La scalata: da P.P. Marino a Sarri

In 13 anni il valore della squadra e della società  si è decuplicato: comprata in C1, ora è da scudetto

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La memoria è uno scrigno: e là dentro, luccicante, c’è l’oro di Napoli, ciò che brilla d’un decennio (tredici anni, per la precisione) in cui la povertà diviene ricchezza, la «miseria» si trasforma in nobiltà e il dolore per il Fallimento miracolosamente lascia sgorgare il Lusso ma anche la Felicità. La Storia (per alcuni, nel rievocarla, urticante) è in quello splendore d’un abbagliante Napoli, in questa dimensione favolistica che conquista tra tridenti, primati, un calcio champagne nella diversità assoluta d’un Progetto che nasce tra i fili d’erba ingialliti della Fallimentare e un San Paolo brullo: è il 6 settembre del 2004, mica poi tanto tempo fa, e l’atto d’acquisto d’un club ch’è «un pezzo di carta» costa trenta milioni di euro e un bonus da cinque, in caso di promozione in serie A nel successivo triennio. E’ un salto nel vuoto – teoricamente – è invece è l’inizio d’un ciclo che resiste, che ha scalato vette insospettabili ed ha decuplicato il proprio patrimonio, all’epoca rappresentato (esclusivamente) dal titolo ed ora ingioiellato con «genietti» e fuoriclasse che (fonte transfermakt) valgono trecento milioni di euro (per la precisione: 332,78).
LA SCALATA. La diversità è nell’Idea, in ciò che De Laurentiis importa in un Mondo che non gli appartiene, dalle cui dinamiche sfugge attraverso scelte di management aziendale che fanno storcere il naso (ai conservatori) e invece rappresentano l’innovazione tout court: il primo Napoli, costruito da Pierpaolo Marino, costa intorno agli otto milioni di euro, affoga la propria delusione nello spareggio con l’Avellino, però «pianta» i pilastri per il proprio futuro e non avverte il peso d’una chiusura d’esercizio in rosso, uno dei rari casi, d’un milione e ottocentomila euro.

LO SFARZO. L’ottava qualificazione in Europa, e il destino spiegherà se sarà Champions diretta o preliminare, è figlia d’una filosofia che non ha avuto né deroghe, né rinunce, che ha rigorosamente rispettato i principi economici e che però non ha costretto a negarsi fuoriclasse che hanno esaltato la Strategia: il Napoli dei 332 milioni attuali è in Insigne ed in Mertens, in Milik ed in Zielinski, in Rog ed in Diawara, tutti i «fratellini» di Hamsik – ormai il caposcuola – però anche i successori di Cavani e di Lavezzi, di Quagliarella e di Inler, di Higuain e di Paolo Cannavaro, i capisaldi d’una generazione ch’è esistita, che ha lasciato una traccia ed in qualche caso anche una robusta eredità economica.

I BILANCI. Quelli tecnici, quelli economici, quelli di cuore, di pancia, di testa: ci sono le correnti di pensiero, nel calcio, che sferzano l’aria, ma poi la Storia (e non c’è verso di smentirla), ricomincia da Paestum – senza maglie, senza palloni, senza un giocatore – e conduce dritto ai giorni nostri, a Napoli-Fiorentina, che dentro di sé ha il sapore della Champions League, fosse pure anche solo un’illusione.
E in tredici anni, dal Cittadella a ciò che sarà, il capolavoro (in chiave calcistica, ma anche finanziaria), rimane, costruito in varie tappe ed in epoche differenti e però tra loro collegate (il tandem Marino-Reja; poi Bigon-Mazzarri; l’avvento di Benitez; l’intuizione Giuntoli-Sarri): è un’evoluzione che va da Calaiò (l’acquisto più costoso del 2004, a gennaio, un milione e trecentomila euro rateizzati in tre anni) fino a Insigne (il contratto più oneroso, cinque milioni per il prossimo quinquennio) che ha trasformato trenta milioni in trecento milioni. La vita è bella (ora….)

Fonte: CdS

 

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