Tutti i segrteti del contratto di Sarri, ma lui vuole solo il Napoli e l’ha messo nero su bianco
Prossimamente, sugli stessi schermi: che sia la sala stampa, una convention o per dedali e viuzze di questo macrouniverso che Aurelio De Laurentiis e Maurizio Sarri attraversano – vicini o distanti che siano, in quell’istante – a voce non necessariamente alta, né impostata, però fragorosamente. Succederà ancora: perché, è il dialogo del calcio che lo richiede, c’è sempre qualcosa da dirsi e si può fare pubblicamente o privatamente, nei tempi e nei modi e nei toni suggeriti dall’istinto. E’ un dibattito corrente, che procede ormai da due anni attraverso provocazioni e messaggi subliminali che scatenano echi, poi soffocati da un’attrazione (verrebbe da dire fatale) che spinge l’uno e l’altro ad una riappacificazione immediata. Un anno fa (sarà la primavera), materia del contendere fu il rinnovo; e poi c’è stata Madrid (sulla cui notte bollente tutto è stato scritto): in entrambi i precedenti, a casa De Laurentiis c’è stata la riconciliazione.
I SEGRETI. Pure stavolta s’avverte il «rumore degli amici» quando nell’etere si diffonde ciò che Sarri, con modalità squisitamente toscane, dunque infarcendo il discorso d’ironia, fa riferimento al contratto: «Io devo tanto a De Laurentiis e gli sono grato, perché ha avuto le palle di credere in me. Ma al prossimo accordo vorrei arricchirmi». E’ superfluo ricostruire il sabato rovente nei dettagli, la sintesi è in ciò che De Laurentiis rilancia, appena qualche ora più tardi: «Magari dopo la vittoria di due scudetti e della Champions, ed alla scadenza dell’accordo attuale, proverò ad accontentarlo». Eccoli qua, anzi rieccoli, e stavolta la colpa è innanzitutto di un «misunderstanding» scatenato, secondo Sarri, «da chi ha riportato in maniera impropria ciò che ho detto». Però è andata, proprio quando sembrava si fossero placate le acque: perché a giugno scorso, e fu reciproca soddisfazione, era stato rivoltato già quel patto divenuto improvvisamente «vecchio».
I DETTAGLI. Sarri firma per il Napoli nell’estate del 2015: un quinquennale, a settecentomila euro, con opzione di rinnovo da esercitare, stagione per stagione, entro il 31 maggio. I risultati, lo spettacolo, l’empatia spingono a riscrivere tutto e a Roma, a campionato appena concluso, con la Champions in tasca e la felicità che sgorga ovunque, De Laurentiis, l’ad Chiavelli, Sarri e il suo manager Pellegrini praticamente «stracciano» il contratto e ne riproducono, con ciò che pare un capolavoro, una nuova versione moderna, appagante, soddisfacente per chiunque. Stavolta c’è un quadriennale «particolare»: scadenza fissata nel 2020 (il primo biennio ad un milione quattrocentomila euro, dunque il doppio del precedente negoziato; il secondo ad un milione cinquecentocinquantamila euro) però con la possibilità – e ora bilaterale – di divorziare nel 2018: il Napoli, se volesse, versando un milione di euro; e Sarri, nel caso in cui ne sentisse il bisogno, attraverso il pagamento di una penale da otto milioni di euro. C’è una atmosfera familiare, sui tweet.
LA MANITA. Il grande equivoco è durato un giorno, il tempo necessario a Sarri di ritrovare un microfono e di ristabilire la portata del suo intervento, la natura di quella sortita dialettica perfettamente in linea con il personaggio, evitando lo spargimento di ulteriori tensioni («io non mi riferivo a De Laurentiis, non mi sono mai permesso di chiedergli altro») e comunque senza rinunciare a se stesso, ad una natura che non può essere regimentata («il mio rapporto con lui è buono: se vuole ancora ritoccare il contratto, ci vado subito e così magari litighiamo per questo; se non è contento, lo libero subito»). E’ tutto (anche merito) della «manita» che il Napoli ha rifilato al Torino, certo di un clima che – passata la nottata – è stato ritrascinato in una normalità alterata.
Fonte: CdS