Dal carnevale di Rio al Carnevale di Napoli. Quel 10 maggio 1987 fu festa grande al San Paolo. Andrea Carnevale, che il Napoli aveva preso per 4 miliardi dall’Udinese, andò in gol alle 16,29 contro la Fiorentina. Fu il gol-scudetto. A Napoli aveva preso casa in via Manzoni e girava con una Volvo bianca. Ci incontravamo al ristorante di Nando Pennino, Al Sarago, in piazza Sannazaro. Ci venivano tutti gli azzurri di quegli anni e Maradona aveva una stanzetta a parte.
Andrea, via coi ricordi. «Stavamo attaccando a tutto spiano. Diego era quello che tirava di più. Venne avanti anche Ferrario. Tirò una botta De Napoli, poi alla mezz’ora…».
Alla mezz’ora, anzi un minuto prima, col Napoli pronto a scattare all’attacco, Romano dette il pallone a Maradona nella metà campo azzurra. «Diego mi dette la palla nella metà campo della Fiorentina, io la detti a Giordano che con un colpo di tacco me la restituì mentre entravo in area di rigore e là…».
Tutto lo stadio balzò in piedi. «…anticipai l’uscita di Landucci colpendo di esterno destro. Il San Paolo esplose. Fu una liberazione».
Dalla settima giornata eravate andati in testa, la Juve mollò e l’Inter fu l’inseguitrice più pericolosa. A pari punti coi nerazzurri a metà torneo, poi corsa solitaria in vetta. «A due giornate dalla fine avevamo l’Inter a tre punti e la Juventus a quattro. Dovevamo respingere l’ultimo assalto dell’Inter che giocava a Bergamo».
Era l’Inter di Trapattoni con Zenga, Bergomi, Passarella. In attacco Altobelli e Rummenigge. «Noi non eravamo i favoriti. I pronostici erano per l’Inter di Trapattoni e per la Juventus di Platini».
E l’Inter cadde a Bergamo. «Dopo il mio gol arrivò la notizia che l’Inter era sotto sul campo dell’Atalanta. Quando la Fiorentina pareggiò con la punizione di Baggio, noi eravamo avanti di quattro punti sui nerazzurri. Era scudetto».
Praticamente fatta con un’altra sola partita da giocare. Allora, la vittoria valeva due punti. «Lasciammo Inter e Juve a quattro punti e andammo a giocare ad Ascoli nell’ultima giornata. Campionato già chiuso. Noi pareggiammo e io segnai ancora. L’Inter fece pari col Verona, la Juve batté il Brescia».
Finiste tre punti avanti alla Juve e quattro davanti all’Inter. «Nelle ultime quattro giornate andai sempre a segno».
Quattro gol, la metà del tuo intero bottino. «Non fu una annata facile per me. Partii titolare con la maglia numero 11. Dopo sei giornate arrivò Ciccio Romano che Pierpaolo Marino scovò nella Triestina. Ci serviva un uomo d’ordine. Ciccio entrò in squadra a Roma, dove vincemmo con un gol di Maradona, e non ne uscì più».
Venisti retrocesso da Bianchi. «Ero arrabbiatissimo col mister. Lui giocava con Caffarelli all’ala destra e Romano col numero 11. Ero praticamente fuori».
Bianchi aveva il suo progetto tattico in cui non eri più tra le primedonne, però non ti escluse del tutto. «Giocai due volte centravanti perché Giordano era indisponibile. Fremevo».
Poi Bianchi ti piazzò all’ala destra. «Dopo due pareggi fuori e col Milan in casa senza fare gol, più la sconfitta di Firenze, ebbi la maglia numero 7. Segnai due gol all’Avellino. Avevo già centrato una doppietta contro l’Empoli. Ero buono a segnare».
Però sbuffavi. «Volevo giocare sempre. Era stupendo giocare con Maradona e Giordano».
Il 7 fu il tuo destino azzurro. «Ma solo alla fine. Prima feci panchina entrando due volte al posto di Giordano nei finali di partita. Due volte sostituii Caffarelli. Mi ribolliva il sangue».
Finale di gloria. «Nelle ultime quattro partite riconquistai il posto di titolare. Feci gol al Milan, segnai il pareggio a Como, firmai il gol-scudetto contro la Fiorentina, andai in gol anche ad Ascoli all’ultima giornata».
A Como ti aiutasti con un braccio. «Va bene, oggi si può dire».
Senza dimenticare la Coppa Italia stravinta con 13 vittorie su tredici partite. «Con il Napoli ho vinto tutto. I due scudetti come Maradona, Ferrara, De Napoli, Renica».
E Raffaele Di Fusco, il portiere di Riardo in panchina. «Più la Coppa Italia e la Coppa Uefa».
Avevi il gol facile. «L’anno del primo scudetto, anche cinque reti in Coppa Italia con due doppiette».
E poi la Coppa Uefa 1989. «Otto partite e tre gol con quello dell’1-0 a Bordeaux, ma anche il secondo gol alla Juve al San Paolo conquistando i supplementari vinti con Renica, sorpasso indimenticabile».
Eri il più rapido a far gol. «L’anno del primo scudetto, ero spesso il primo a segnare».
Ecco qua le statistiche: primo goleador tre volte in campionato e quattro in Coppa Italia. Fanno sette volte nelle tredici occasioni in cui segnasti. «Se lo dicono le statistiche».
Dopo il muso lungo con Bianchi che cosa successe? «Ci siamo chiariti. Anch’io avevo sbagliato. Poi con la cessione di Giordano feci 13 gol nel campionato in cui finimmo dietro l’Inter».
E otto gol anche nell’anno del secondo scudetto. «Una trentina di gol col Napoli in quattro anni».
Niente male. Acquistato per 4 miliardi a venticinque anni, rivenduto a 6,8 miliardi alla Roma quand’eri prossimo alla trentina. Fosti un affare «E il gol-scudetto come sigillo».
Indimenticabile. «Proprio così. Una gran festa per i napoletani che ci seguivano in massa in casa e fuori».
Erano trentamila a Torino contro la Juve. «Entrai nella ripresa tre minuti dopo il gol di Laudrup. Bianchi mi mise al posto di Sola, un mediano. Dovevamo rimontare. E vincemmo tre a uno».
Chi era il tuo compagno di stanza nelle trasferte? «Alessandro Renica. Maradona lo chiamava il ciuccio, ma non ricordo perché».
E Romano era la Tota. «Così lo chiamava Diego che, quando vincemmo, disse: tutti noi abbiamo lavorato duro due anni per vincere lo scudetto, è arrivato la Tota e l’ha vinto in cinque mesi».
In realtà, erano sette mesi. Romano arrivò a fine ottobre. «Fece anche un paio di gol».
Uno valse la vittoria per 2-1 sulla Juve al San Paolo. «Gli feci l’assist. Segnò nel secondo tempo, io avevo appena sostituito Caffarelli. Diego crossò dall’ala destra, io toccai la palla in area per Romano in mezza mischia e lui batté forte sotto la traversa».
Platini protestò come un pazzo. «Urlò che io ero in fuorigioco».
Avevi esordito in serie A con l’Avellino. «Devo tutto a Vinicio. Giocavo in serie C col Latina e mi volle nella squadra irpina. Poi mi chiamò all’Udinese dove giocai con Zico. Poi Diego a Napoli. Tutta una musica».
Fonte: Il Mattino