Prof. Trombetti: “Come ha sempre detto mia madre ‘dal tifo non si guarisce mai’!”
L’ex-rettore della Federico II Guido Trombetti è un tifoso storico. Una malattia che l’ha contagiato da ragazzino: «Come ha sempre ripetuto mia madre, non si guarisce mai». Stamattina sarà al dipartimento di Sociologia per la giornata di studi dedicata a «L’eredità di una vittoria storica».
Professore, partiamo proprio dalla giornata di studi. Sarà uno dei pochi eventi per ricordare il primo scudetto del Napoli. È diventata già materia storica?
«Sicuramente è materia per la sociologia, anche perché il gioco non viene ricondotto solo al fenomeno del tifo. Esiste una sociologia del calcio, non fosse altro perché ci sono al mondo milioni di persone che si entusiasmano e si commuovono per il pallone. Gli unici fenomeni sui quali i sociologici devono interrogarsi non devono essere solo quelli storici».
Lei che tipo di tifoso è?
«Sono un appassionato che non vuole celare la sua vera natura sotto un velo culturale. Non sono mai guarito dalla malattia, come pronosticava mia madre».
Che cosa ricorda di quel 10 maggio 1987?
«Quello scudetto fu una svolta».
Una svolta dimenticata?
«Molto dimenticata. Io penso che nella recente storia di Napoli di svolte ce ne siano state almeno tre».
Quali sono?
«L’istituzione del Maggio dei Monumenti; il G7 del 1994, quando la città si sobbarcò dei mille disagi del traffico pur di non perdere una vetrina mondiale; e il primo scudetto. Fu un momento straordinario. La città capì che a Napoli si poteva costruire un grande successo. Non era solo calcio, era il riscatto contro i grandi potentati del Nord».
Lei dov’era quel giorno?
«Allo stadio, naturalmente».
Certo, ma dopo la partita che cosa fece?
«Come tutti i napoletani non pensai nemmeno lontanamente di tornare a casa. Andai in giro per il Vomero che era in preda a una festa mobile. Ma in tutta la città non c’era una strada o una piazza che non straripasse di uomini, donne e bambini esultanti. Nel mio condominio ci riunimmo fuori del palazzo attorno a una grande torta azzurra. Fu un evento unico, perché è noto quanto siano litigiosi i condòmini».
Calcisticamente come giudica quel primo scudetto?
«Fu molto particolare perché costruito attorno a un mito come Maradona che finalmente fu consacrato diventando un’icona. Ancora adesso, persino i ragazzini che non l’hanno mai visto in campo ne parlano con venerazione. E poi fu la prova che quando si lavora bene i risultati vengono. Quello scudetto e il successivo del 1990 furono figli della grande passione di Corrado Ferlaino, che prima di essere il presidente del Napoliera un tifoso sfrenato. Dopo anni, quando è invitato a parlare dello scudetto, si commuove».
Che cosa pensa invece del Napoli attuale?
«Sono un estimatore di Aurelio De Laurentiis. Ha compiuto un vero miracolo. In cinque-sei anni ha portato la squadra dall’inferno delle serie minori ai vertici del calcio europeo. Si è dimostrato un grande imprenditore. Ha il bilancio più sano del mondo. Ha preso calciatori che nessuno conosceva come Cavani, Higuain e li ha trasformati in campioni internazionali. Un grande intuito».
Molti sostengono che il Napoli attuale è più forte di quello di Maradona che aveva in Diego il perno. Senza non avrebbe raggiunto i risultati che ha ottenuto. Lei che coda ne pensa?
«Le rispondo da matematico: gioca meglio chi vince. Quel Napoli ha vinto campionati e coppe. Quello attuale non vince ancora, ma vincerà e solo allora potrà dirsi più forte della squadra di Maradona. Il coronamento della grande impresa di De Laurentiis si avrà solo quando vincerà. Perché un conto è il calcio più bello, un altro il calcio più redditizio».
Che cosa manca?
«Questo Napoli diventerà imbattibile solo se saprà costruire una grandissima difesa, attraverso gli acquisti e in campo con le grandi capacità che ha Maurizio Sarri, di cui sono un autentico estimatore».
Fon te: Il Mattino