Volpecina ai microfoni del CdS: “Noi partivamo dall’ uno a zero. Grazie Diego per tutte le emozioni. L’ho toccato, vissuto con lui, eravamo i più forti. Ma peccato…
Clic: e si resta là dentro, in quel fotogramma, con il sinistro di Giuseppe Volpecina che va dritto nell’angolo, anzi nel cuore della storia. Juventus 1, Napoli 3: e fu tutto così chiaro. «E fu anche bello, diciamolo». Bello, impossibile da dimenticare.
Cantavano, a quel tempo: ho visto Maradona. E Volpecina… «L’ha toccato, mi sono allenato con lui per un anno intero, ci ho vinto lo scudetto. Posso dirvi cos’era: un fenomeno anche come uomo. Uno che ti lascia qualcosa dentro che non sparisce mai più. Io sento parlare di leader, oggi, e mi chiedo: ma allora cosa è stato Diego?».
Ecco, cosa è stato? «La nostra luce. Avevamo lui e lo seguivamo. Non conosceva la paura, né degli avversari, né delle intimidazioni, che pure riceveva. E noi lo seguivamo».
Lei ha due date: la prima, 9 novembre 1986, viene invocata da qualsiasi suo compagno. «Io ho una sola data ed il 10 maggio 1987, perché tutto quello che accade nel corso della stagione concede solo di preparare quell’evento, in cui c’è la somma di ogni nostro sacrificio. Io posso dire – senza enfasi e senza retorica – di aver vissuto in quel ricordo, perché quel giorno ha rappresentato lo spartiacque: la Napoli calcisticamente povera e la Napoli poi ricca, padrona, viva».
Ma Juventus-Napoli 1-3… «Gran partita e, con modestia, grande gol del sottoscritto. Il primo lo avevo segnato all’Atalanta, in un pareggio che sembrava potesse preoccupare; ma quello invece servì per cambiare la percezione che avevamo di noi stessi: ci rendemmo conto, andando a vincere in casa della Juventus, di essere forti».
Ma anche gli altri... «Campionato diverso da quello attuale: la concorrenza era altissima, bisognava dare qualcosa in più e noi ci riuscimmo».
La differenza? «Noi cominciavamo dall’1-0 perché tanto era chiaro che Diego avrebbe trovato il modo con cui fare gol. E’ stato il più grande di tutti i tempi, lo dico senza se e senza ma, e anche ora che vedo il Real Madrid e prendo atto che con Cristiano Ronaldo si creino quelle stesse condizioni, cioè partire con un gol di vantaggio, resta sempre una sostanziale diversità del calciatore. Maradona è stato unico ed è inimitabile».
La sua carriera poi mutò. «Forse fu un errore privarsi di calciatori come me, Muro e Caffarelli, perché il senso di appartenenza di noi campani concedeva una sua forza. Oggi vediamo scene che si ripetono: si segna e si bacia la maglia. Noi sputavamo sangue, ma seriamente, e senza troppa platealità. Ma non ho rimpianti, né rimproveri. Ho vissuto la storia più bella di Napoli, ho potuto partecipare a quei momenti e da protagonista, ho visto la felicità sulla faccia della gente ed ho capito quanto fosse prepotente quella gioia, perché era la mia».
Oltre la memoria, cosa conserva. «La maglietta di Maradona e quella di Francini, dell’anno successivo, con lo scudetto: portava il 3, dunque il mio numero, ma io avevo potuto indossarla senza il tricolore. Su quella c’è e vedesse quanto è bello. Mi spiace non essere stato lungimirante: avrei dovuto tenere per me quel francobollo che venne emessa per il nostro trionfo. Però la medaglia che ci diede il Napoli ce l’ho ed anche quella che arrivo dalla Federazione».
Lei questo 10 maggio cosa penserà? «Mi divertirò con i compagni che verranno per l’amichevole di Casoria, in cui dovremmo esserci quasi tutti. Mi spiace che le istituzioni non abbiano pensato ad un momento di partecipazione collettiva, ma non ho nessun intento polemico dicendo ciò. Penso semplicemente che quello sia stato un traguardo, una conquista, per la città e che a parecchi avrebbe potuto far piacere salutarci o rivederci».
Raramente un terzino, un fluidificante, può godere di così alta popolarità. «A me ha dato una mano il gol alla Juventus, che rompeva un tabù. E poi anche un atteggiamento che ho conservato negli anni, mai sopra le righe. Ma io mi sento un uomo fortunato: pensi, ho segnato il gol giusto, nella partita giusta, nell’anno giusto. E con Maradona come compagno di squadra. L’apice della mia carriera è in quella stagione ma ciò che fotografa un anno intero e quel pomeriggio».
Non si cancella. «Io avverto ancora le sensazioni di quel momento, l’atmosfera sul pullman mentre ci avvicinavamo al San Paolo, i colori ed i profumi e l’aria che si respirava quando entrammo in campo. E poi dopo: non so per quanto tempo abbiamo festeggiato».
Vinsero i più forti? «Che avrebbero potuto vincere tanto altro, perché per me due scudetti furono pochi rispetto al potenzialità di quella squadra e di quel progetto. Se hai il calciatore più grande d’ogni epoca, puoi permetterti qualsiasi successo. Non hai limiti. Perché Diego era una trascinatore, aveva una personalità che non si è mai rivista in nessun altro calciatore».
E oggi? «Sono qui a raccontare quelle gesta e mi dà ancora tanta soddisfazione. Possono sentirmi gratificato dalla mia vita, dalla mia professione: io il calcio l’ho amato ed ancora lo amo, mi ha dato tanto e poi è andato oltre, offrendomi lo scudetto con il Napoli. A me casertano di San Clemente; a me come a tanti miei amici napoletani; a noi che abbiamo potuto sentirci idoli di quella gente; a noi che ci siamo goduti Diego Armando Maradona. Io sono un uomo ancora felice. Lo sarò per sempre».
Fonte: CdS