Il Mattino – Luis Vinicio: “Due scudetti, uno alla Juve ed uno al Napoli”

O 'Lione: "Higuain se ne è andato via da Napoli in maniera spregevole"

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Una bella intervista ai microfoni de Il Mattino:

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«La bellezza domina sul mondo. E la gente ricorda quella e non certo chi vince. E su questo Allegri ha torto. Del mio Napoli si ricordano tutti perché rivoluzionai il calcio italiano, anche se non vinse nulla». Luisi Vinicio nel 1974 è stato il profeta italiano del calcio totale. Prima difesa a zona mai vista sui campi della serie A. Bruciava la disfatta ai mondiali tedeschi e con Radice e Trapattoni aprì un’era nel nostro depresso pallone sgonfio. «La gente veniva con gioia a vedere quel Napoli, come fa adesso con questa squadra guidata da Sarri. Dopo una disfatta, un 6-2 in casa subito proprio contro la Juventus uscimmo sommersi dagli applausi. Perché i tifosi azzurri si divertivano, erano contenti. Perché si erano stufati di vedere squadre giocare come fino a quel momento si faceva in Italia. Tutti si ricordano di quel mio Napoli, nessuno di chi allenava le varie Juventus degli anni 70».

Vinicio, ma quel Napoli non riuscì a vincere nulla, però? «Per così ha voluto il Cielo. Ma a Torino, quel pomeriggio, in quella partita, siamo andati davvero vicini allo scudetto. La Juve era persino felice per l’1-1, non so neppure io come Zoff riuscì a prendere quel tiro di Juliano. Quello scudetto doveva essere nostro… non loro. Poi in maniera quasi casuale all’83’ segnò Altafini».

Ancora adesso loro sono quelli della Juve? «Bisogna fare due campionati: in uno si assegni subito lo scudetto alla Juve e poi si giochi un altro in cui si assegni un altro scudetto dove venga premiato il merito e non altro. Finché c’è quella dittatura difficile che possa essere premiato il gioco».

Un peccato, non trova? «Loro sono forti, ma quando non ce la fanno da soli, ci pensa qualcun altro. È sempre così».

Una squadra che gioca così bene come il Napoli deve avere qualche rimpianto? «Ai miei tempi, uno scudetto qualche volta scappava alle grandi e premiava il gioco: penso al Cagliari, al Verona, alla Lazio. E questo era stupendo. Adesso non succedono più. Non è giusto».

Ma il Napoli di Sarri è come il Napoli di Vinicio? «Abbiamo la stessa voglia di mettere il gioco al centro di tutto. È il gioco che esalta le individualità. Eravamo un vanto per l’Italia, Ameri disse che non aveva mai visto un calcio come quello di Vinicio».

Più bello il suo Napoli o il Milan di Sacchi? «Ho scoperto solo a distanza di anni che Arrigo aveva passato un’estate intera a giochi un altro in cui si assegni un altro scudetto dove venga premiato il merito e non altro. Finché c’è quella dittatura difficile che possa essere premiato il gioco».

Un peccato, non trova? «Loro sono forti, ma quando non ce la fanno da soli, ci pensa qualcun altro. È sempre così».

Che ricordi ha di Lazio-Napoli che lei ha vissuto oltre che da calciatore, anche da allenatore di entrambi? «Le feste sugli spalti del vecchio Olimpico. Molto sentita: una specie di derby, sempre molto sentito dal pubblico e sempre molto spettacolare. Ricordo una vittoria del Napoli con gol di Boccolini (5 dicembre del 75, ndr) che venne festeggiato da almeno 30mila napoletani con le note di O surdato nnammurato».

E l’anno dopo lei passò proprio alla Lazio… «Era un gruppo di ragazzotti fenomenali: non ci fossero state delle vipere in quella squadra, avremmo potuto fare grandissime cose».

Cosa deve fare Sarri perché possa anche vincere? «Di sicuro non senta chi gli consiglia di prendere il pallone e di gettarlo in tribuna quando serve. Per vincere ha bisogno di calciatori: va completato il centrocampo, serve maggiore fisicità. E questo elemento emerge soprattutto quando affronti le big».

Ma tra vincere come vince la Juve e giocare come gioca il Napoli cosa sceglie? «I tifosi meritano spettacoli importanti, meritano il bel gioco, meritano di divertirsi. E Sarri sta cambiando il calcio italiano. È un rivoluzionario, proprio come lo sono stati io».

Higuain è stato accolto come un vero traditore. «È andato via in maniera spregevole, senza un saluto, senza dire le cose ai tifosi. Non poteva attendersi una accoglienza differente».

Lei da ex come venne accolto? «Mi mandarono via, la gente lo sapeva. E quando sono tornato con il Vicenza, il Napoli vinse per 4-2 ma io segnai una doppietta. Ma la gente acclamò i miei gol cose se avessi addosso ancora la maglia del Napoli. Perché avevo dato tutto nei miei anni napoletani e quell’addio non era stato certo colpa mia».

Anche Mertens, un po’ come lei, rischia di diventare capocannoniere a quasi 30 anni? «Sì, ci può riuscire. Io feci persino meglio: quando andai via dal Napoli nessuno pensava che riuscissi a fare ancora tanti gol, ma nel 1966 ne feci 25 e vinsi il titolo. Avevo quasi 34 anni.».

Chi è o lione di questo Napoli? «Il nostro capitano, Hamsik. Io lo adoro, è un ragazzo straordinario dentro e fuori dal campo. Un vero leader che presto entrerà nella storia battendo il record di gol di Maradona».

Vinicio, da Napoli non è mai andato via: perché? «Merito di Bruno Pesaola, mi ha preso sottobraccio e mi ha protetto come un fratello. Poi è stato facile ambientarsi, Napoli era una storia scritta nel mio destino. Una città straordinaria, per questo non ho mandato giù il modo con cui Higuain ha girato le spalle».

Domani come finisce Lazio-Napoli? «Mi diverte molto vedere anche la squadra di Inzaghi giocare, ma dal punto di vista tecnico il Napoli e superiore e vincerà».

Il secondo posto? «La Roma ha un discreto vantaggio e otto giornate non sono tantissime. Ora conta la condizione, e gli azzurri stanno bene. Sono ottimista».

La Redazione

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