Non avverrà neanche stavolta. Corrado Ferlaino e Diego Maradona non si incroceranno neanche in quest’occasione. Insieme entrarono nella leggenda, ma tutto ciò che è venuto dopo è storia nota, fatta di reciproche e ripetute stilettate. «Acqua passata: nella mia mente sono rimasti solo i ricordi belli», assicura il presidente a Il Mattino:
Ingegnere, domani andrà al San Carlo? «No. Mi hanno invitato, ma oggi andrò a Innsbruck per la comunione di mio nipote Michele: mia figlia Francesca, che vive lì, ci tiene moltissimo. Lunedì mattina, poi, partirò per Firenze, dove martedì sarò premiato alla Hall of fame del calcio italiano».
Quindi non incontrerà Maradona? «Avrei voluto, ma non saprei quando: ieri sono andato allo spettacolo di Sal Da Vinci, mentre lunedì c’è la cena di gala a Firenze. Però ho intenzione di chiamarlo».
Quando vi siete visti l’ultima volta? «A Montevideo, una quindicina di anni fa: lui stava male, andai a trovarlo. Lo incontrai anche qualche anno dopo a Buenos Aires. Se in questi anni ci siamo sentiti? Qualche volta. Ma io non ho mantenuto rapporti con i calciatori: dopo aver lasciato il calcio, non ho sentito più quasi nessuno. Quando uno decide di chiudere non deve voltarsi indietro. Io, almeno, la vedo così».
Che idea s’è fatto di questo omaggio al San Carlo? «Visto col distacco del cittadino, è un’operazione commerciale. Ma se lo guardo con gli occhi del tifoso, da vero napoletano, dico che è una bella festa. Maradona ha rappresentato per questa città qualcosa di unico. Se anche il presidente oggi volesse spendere una fortuna per prendere Cristiano Ronaldo, non ci riuscirebbe. Accettando di venire a Napoli, invece, Diego ha fatto la fortuna del Napoli e anche la propria. Il suo carattere si sposava perfettamente con quello dei napoletani, questo era il posto ideale per lui. Era un grande giocatore ma bisognava gestirlo. E a Napoli lo abbiamo gestito bene».
Ogni volta che il Pibe rimette piede in città sembra che non sia mai uscito dal campo. Perché da trent’anni Napoli è immersa fino al cuore in questa passione? «E perché mai ci si dovrebbe liberare di un grande amore? Maradona è stato artefice di due scudetti, ha condotto la squadra alla vittoria della Coppa Uefa e di una Supercoppa. Ci ha dato gioie enormi».
C’è chi dice che non sappiamo guardare avanti. «Un uomo che pensa al futuro non può rinnegare il proprio passato. E comunque i napoletani amano Maradona non solo per i suoi enormi meriti sportivi, ma anche perché pur essendo argentino è rimasto napoletano. Certo, quando lo conobbi, nella sua villa di Barcellona, mai avrei pensato che trent’anni dopo sarebbe stato omaggiato al San Carlo. Anzi, le racconto un aneddoto: dopo aver firmato il contratto che lo legava al Napoli, mentre ero in albergo nell’attesa che un aereo privato mi portasse a Milano, dove la mattina seguente avrei dovuto depositare il contratto in Lega, ordinai un whisky on the rocks. Il barman me lo servì e, sorridendo, commentò: Vi abbiamo rifilato un bidone: avete pagato tredici miliardi e mezzo un calciatore grasso. Mi gelò al punto che nel bicchiere mi pareva ci fosse solo ghiaccio».
Prese una bella cantonata, il barman spagnolo. «Sì. All’inizio non andò benissimo, ma poi con il 3-1 in casa della Juve, dove non vincevamo mai, arrivò la svolta. La scalata allo scudetto cominciò da lì».
Lei ha dei nipoti ai quali è molto legato. Se dovesse scegliere tre aggettivi per spiegare loro chi era Diego, quali userebbe? «Parlerei della sua onestà sportiva, una dote che pochi giocatori hanno. E direi che, oltre ad essere eccezionale per tecnica e personalità, in campo era leale. Un vero innamorato del calcio».
E dell’uomo che cosa racconterebbe? «Non sta a me valutarlo: io giudico il calciatore. Quello che ha fatto come uomo sono fatti suoi».