Sei forte papà. Il gol, il pollice in bocca e il primo fiocco azzurro. Nella vita, innanzitutto. Ma pure a Napoli. Ed è stato un parto, anche questo. Una gestazione lunghissima e perciò da festeggiare anche (e ancora) il giorno dopo, in famiglia, tra gli amici veri e quelli social, ritwittando felicità e complimenti, rivedendo soprattutto quei momenti. Minuto 95. L’assalto della disperazione. Strinic sfonda a sinistra, palla in mezzo, e lui, Tonelli, sì quello che non t’aspettavi (quasi) neanche in campo, era là, solitario ma con tutti gli occhi addosso, di piattone, di potenza, sotto la traversa, con quel residuo di energia rimasta, distillato di adrenalina, coraggio e anche un po’ incoscienza. Sì, pure quella. Perché devi averne se fai il difensore di mestiere e quel Muriel quando parte in contropiede è una scheggia. E per fermarlo, hai già dovuto usare (anche) le cattive maniere. E però troppa la voglia. Fuga (in avanti) per la vittoria. Istinto e attitudine. E anche un po’ di sana benevolenza degli Dei.
Proprio lui. La notte più bella; gelida ma calda di passione e abbracci. Uno stadio intero con lui. E i compagni tutti. Poi Claudia, la moglie: intirizzita dal freddo e col pancione grosso, e comunque là in tribuna per l’esordio del marito. Voleva esserci, sapeva, se lo sentiva. Ansie, brividi ed euforia. Lo ha aspettato nella pancia del San Paolo. Un sorriso, una stretta forte. Un bacio. Molto più di quelle parole tenere scritte sui social. Tonelli da favola. Ha atteso quattro mesi e più per il debutto. E ha sofferto, patito, s’è immalinconito e pure rincuorato. Il ginocchio, anzi a un certo punto tutti e due, dava fastidio. E poi le gerarchie definite, la condizione che non arrivava, quanti “stop and go”, sudore e giornate lunghe, terapie e allenamenti in solitudine, l’affetto di medici e compagni, il sostegno di Giuntoli, e lo sguardo attento di Sarri, sempre lì, rigoroso e razionale per modo di essere, per necessità e dovere. Comprensivo, certo. Ma irreprensibile. Neanche un minuto fino alla Samp. Niente. Il primo acquisto e l’ultimo a debuttare.
De Laurentiis lo annunciò il 15 maggio, tra record e champagne, gioendo in sala stampa per Higuain, la Champions diretta e quel colpo messo a segno con un blitz. Nove milioni e qualche spicciolo coi bonus che pure fanno soldi. Quattro anni di contratto. Deciso, il presidente. Che l’altra sera dalle Maldive sarà stato il più contento. Anche lui aspettava per vederlo. Come i tifosi che l’hanno tempestato per mesi. «Ma quando giochi? Perché non giochi?». E lui là, sorridente e disponibile, mai sgarbato, benché comunque logorato come deve esserlo chi non vede mai il campo.
L’ultima partita Tonelli l’aveva giocata a San Siro 245 giorni prima. Inter-Empoli. Sì, l’Empoli, lì dove con Sarri ci ha giocato tre anni e segnato 11 gol (6 stagioni e 15 totali) e della linea a 4 può scriverci un libro. Ne conosce movimenti e meccanismi; equilibri, distanze ed atteggiamenti; ha quelle conoscenze che Maksimovic evidentemente ancora non ha, abituato com’è ad avere l’uomo da riferimento e non la palla. Tonelli sa e sapeva già tutto. Eppure ha dovuto pazientare. Mai distratto dal mercato. Non è sulla lista dei partenti. Sarebbe arrivato il suo turno: ed eccolo allora. Ed è da godere. Anche meritato ripensando a quel pomeriggio con la Primavera del Napoli al Vismara, in trasferta, contro il Milan, titolare, fuori quota umile e a disposizione dei più giovani. Ci mise applicazione e faccia. E anche un braccio di troppo: quasi fece rigore. La voglia di dare e di darsi più forte di tutto, anche accollandosi qualche rischio. E così è stato contro la Samp; per lui e quelli che erano allo stadio. All’attacco fino all’ultimo, da crepacuore. Le storie belle del calcio. Anche Tonelli, ora, ha scritto la sua a Napoli. E mica è finita: adesso c’è lo Spezia. E dopo molte altre ancora.
Fonte: Corriere dello Sport