Tavecchio, sogno lo scudetto al Cagliari e l’Empoli in Champions League

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Prendiamo la squadra attualmente quattordicesima in Premier League, il Leicester: campioni d’Inghilterra grazie ad una favola che verrà ricordata per sempre nella storia e qualificazione agli ottavi di Champions League da prima del girone.
Prendiamo la quattordicesima della Serie A, il Cagliari: gli uomini di Rastelli stanno disputando una discreta stagione ma, ovviamente, sono lontanissimi da qualsiasi tipo di velleità europea.
Questo confronto nasce sicuramente da una provocazione, ma serve da spunto per una riflessione più profonda: le parole di Tavecchio hanno sottolineato come ci sia bisogno di un ritorno in auge delle milanesi per poter spostare il potere sportivo dal centro di Torino, dove si è inevitabilmente stabilito negli ultimi cinque anni.
Ma spostarlo di 150 chilometri ha senso?
L’ennesima uscita a vuoto del presidente della FIGC nasconde delle verità, perché un campionato, per poter tornare ad essere appetibile, ha bisogno di una competizione che sia quanto più combattuta e incerta, ma palesa una superficialità a cui, purtroppo, siamo ormai abituati.
Nelle ultime stagioni la Juventus ha superato la Roma prima, e il Napoli la scorsa stagione, non senza fatica: la passata stagione ci volle addirittura un gol con deviazione di Zaza a fine gara per risolvere lo scontro diretto del 13 febbraio col Napoli, che altrimenti avrebbe conservato la testa della classifica. In questo senso allora vanno ringraziate e non snobbate da Tavecchio le due squadre del famigerato sud, per aver reso avvincente un campionato che, senza le più blasonate Inter e Milan, avrebbe avuto pochissimo, o forse nulla, da dire.
Ben venga il recupero di rossoneri e nerazzurri, processo probabilmente lungo ma che sicuramente riporterà le due milanesi a lottare per il titolo dopo lo switch a livello proprietario; ben venga, però, il livellamento verso l’alto dell’intero campionato, con non una, non due, non tre squadre a lottare per il titolo ma cinque o sei, tutte con le stesse possibilità.
Torniamo allora in Premier, proprio perché a detta di tutti è il campionato più emozionante da seguire (e qui i diritti televisivi c’entrano poco): oltre il Chelsea straordinario targato Conte, a più 5 sulla seconda, ci sono Liverpool, City, Arsenal, Tottenham e United. Sei squadre potenzialmente in grado di vincere.
La crisi del calcio italiano è profonda, e ridurla ad una mancanza di competitività degli ultimi cinque anni è semplicistico e superficiale, e il problema è che di queste dichiarazioni non ci meravigliamo più. Il sistema ha bisogno di rinnovamenti profondi, di riqualificazione degli stadi in modo da renderli appetibili e non pericolosi per chi decide di andare a passare una domenica pomeriggio; di ridistribuzione dei diritti in modo più funzionale, evitando di ampliare quella falla già esistente e che Napoli e Roma negli ultimi anni hanno provato a colmare con il lavoro e la programmazione, parole inesistenti dal vocabolario delle celebrate squadre del nord.
Perché il campionato era avvincente quando potevamo vedere la Lazio, la Roma, la Samp, il Napoli, il Verona, rompere l’egemonia classica della Serie A, e guardare tutti dall’alto in basso.
E allora, caro Tavecchio, l’Italia ha bisogno che il Cagliari possa giocarsi lo scudetto, che l’Empoli possa sognare l’accesso alla Champions League, perché la Serie A, più che l’appeal a livello internazionale, ha perso l’amore di chi lo segue, portando il tifoso ad allontanarsi sempre di più dal calcio per guardare altrove.
Bisogna dare la possibilità di riappassionarsi al terreno verde, di innamorarsi di una favola, di seguire con gli occhi di un bambino le vicende della propria squadra del cuore. Cuore appunto, un cuore inaridito, calpestato, sporcato, che deve tornare a battere quando vede undici uomini con la stessa maglia battagliare per un pallone.
Perché è questa la sconfitta peggiore.

Factory della Comunicazione

A cura di Marco Prestisimone

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