Appena entri nel Nido delle Vespe, capisci perché siano clamorosamente in testa al campionato di Lega Pro, girone C, girone di ferro. Lo capisci dall’aria che tira, dall’espressione dei signori che ti si parano davanti con un sorriso mai affettato e un’evidente identità di vedute. Un sorriso che non nasce solo dalla soddisfazione di essere la capolista, anche se Lecce, Foggia e Matera la guatano ad un solo punto di distanza. La verità è che a Castellammare di Stabia le Vespe pungono anche a novembre e pungono perché non si fermano mai. Nell’Arte di conoscere se stessi, a proposito di egoismo e altruismo, Marco Aurelio annotava: «Ciò che non giova all’alveare non giova neppure alle api». Ora, se è vero che le api e le vespe si cibano degli stessi fiori, ma non producono lo stesso miele, è verissimo che mai, come quando racconti la storia della Juve Stabia, scopri quanto conti il gioco di squadra. In senso letterale.
TUTTI STABIESI. Il Nido delle Vespe è lo stadio Romeo Menti, eroe del Grande Torino, ala destra di straordinario valore, scomparso a Superga il 4 maggio del 1949 insieme con la squadra degli Invincibili. Nell’85, quando, dopo un anno di lavoro, l’impianto venne inaugurato, furono i tifosi stabiesi a chiedere e a ottenere l’intitolazione al giocatore granata. I tfosi hanno la memoria lunga. Nella stagione 1944–1945 Menti giocò nello Stabia, vincendo il campionato campano e laureandosi campione dell’Italia liberata grazie al 3-3 con il Napoli. Sinora, la Federcalcio non ha attribuito nessun riconoscimento sportivo allo Stabia, ma la gente di Castellammare ha reso eterno il ricordo di Menti. Fu proprio lui a segnare l’ultimo gol del Grande Torino contro il Benfica, su rigore, il 3 maggio 1949, il giorno prima della tragedia. Così, non ti meravigli quando Francesco Manniello, presidente e proprietario della Juve Stabia, dopo averti accolto all’ingresso dello stadio, per prima cosa indica la fotografia che mostra lo Stabia “campione d’Italia 1945» con Menti, la cui immagine viene custodita con il rispetto che si deve ai grandi. Renderebbe felice qualunque tifoso del Toro che capitasse da queste parti.
«Sa qual è il bello della nostra società? – attacca Manniello – E’ che siamo tutti stabiesi e la squadra ce la portiamo dentro da quando siamo nati. Ci battiamo con giganti quali il Lecce, il Foggia, lo stesso Matera e per vincere dobbiamo essere dieci volte più forti di loro. Ma non abbiamo paura».
LA SIGNORA ERMETE. Il presidente è un signore gioviale, energico, positivo. Ha carisma. Dà l’idea di uno che non si demoralizza mai, nemmeno quando la Juve Stabia, dopo i tre anni di B, torna in Lega Pro. «Forse perché solo un pazzo potrebbe affrontare questa avventura, considerata la sua insostenibilità economica. Siccome io sono un pazzo, eccomi qua. Eccoci qua. Le dirò di più: oggi mi sono scocciato di volare basso, sa? Del dire e non dire, abbozzare e non abbozzare. Io ho un obiettivo e questo obiettivo lo conosco solo io. Lo inseguo da quando il club non venne ripescato, dopo essere retrocesso dalla B perché non rispettava i parametri del pubblico e della storia. Ma dico: come si può pretendere che una piccola città di quasi 70 mila abitanti qual è Castellammare di Stabia, possa competere con le grandi piazze quanto a numero di spettatori e di titoli sportivi? Tant’è. Glielo garantisco: ciò che abbiamo passato dopo la retrocessione avrebbe abbattuto un toro, però noi siamo più forti di un toro…». Poco distante, la signora Ermete annuisce. La signora Ermete è la moglie del presidente. Di professione fa il medico. La sua è una presenza elegante, discreta, distinta. Quella dei signori Manniello è una lunga storia d’amore. Sono sposati da 37 anni. «La conobbi quando ne aveva 13 e andava nel settore ospiti con il padre». E lei: «Per forza ti sei accorto di me, eravamo solo in due. Io e papà». Risata complice. Poi la signora guarda Fontana e fa: «Lo sa che lei non sembra nemmeno un ex calciatore?». L’allenatore si schermisce e il presidente raccoglie subito l’assist della moglie, un complimento per il modo in cui Fontana si porge, per la sua dialettica. Soprattutto, il modo di intendere la professione.
QUESTIONE DI GIUSTIZIA. Nella sala al primo piano c’è praticamente tutto lo stato maggiore della Juve Stabia. «Perché ho voluto Fontana come allenatore? Perché mi aveva colpito l’ingiustizia di cui era stato vittima per la vicenda Nocerina. Quella storia la conoscevano tutti e chi doveva prendere provvedimenti prima che la situazione precipitasse, non li prese. Fontana non c’entrava nulla e si comportò da galantuomo. Il tempo gli ha reso giustizia. E glielo anticipo ora: Gaetano un giorno allenerà in serie A. Come Rastelli che ha lavorato con noi dal 2008 al 2010 e adesso sta facendo benissimo alla guida del Cagliari. Fontana è il miglior tecnico che potessimo ingaggiare e guardi che non lo dico perché siamo primi in classifica. A me interessa il valore dell’uomo prima ancora che dell’allenatore e questo è un uomo di prima qualità».
GRAVINA E MACALLI. Manniello scandisce bene le parole. L’uditorio sottoscrive e quando il discorso scivola sui costi della Lega Pro che, dalla A e dalla B, riceve soltanto le briciole della torta tv, il presidente sbotta: «La verità è che i grandi club vogliono la Superlega Europea e di noi se ne infischiano. Sa che cosa occorrerebbe? Una serie A a 16-18 squadre, due serie B a 18-20 squadre e tutto il resto campionato dilettanti. Questo ci vorrebbe, per dare ossigeno al movimento. Non si può pretendere che i conti reggano per 60 squadre professionistiche in Terza Serie. Sa qual è stato il record di paganti della Juve Stabia nella sua storia? I 4.800 biglietti venduti per la partita con il Torino, quando eravamo in serie B, nel 2012. E’ la tv che allontana i tifosi dallo stadio, ma vuol mettere la partita seguita sugli spalti? Meno male che c’è Gravina. Maggiori introiti pubblicitari, sportube.tv, coinvolgimento di tutti i club nella gestione collettiva: il nuovo presidente della Lega ha portato una ventata di aria fresca. Com’è noto, io sono stato un oppositore di Macalli. Nulla di personale, ma a 79 anni bisogna fare il nonno, altro che ancora il capo dell’ex serie C dopo 18 anni consecutivi di presidenza. Gravina sta cambiando il nostro mondo. Quando lo chiamo e magari non risponde perché non può, non appena è libero, richiama. Con Macalli non succedeva mai. A proposito: recentemente l’ho visto spesso in tv. Si vede che ha più tempo libero». Risata.
Corriere dello Sport