Raggirò Ferlaino, due anni di carcere alla sua avvocatessa
Due anni di reclusione con pena sospesa. È la condanna inflitta dai giudici del Tribunale di Lugano all’avvocatessa svizzera Xenia Peran, finita sul banco degli imputati con una lunghissima sfilza di accuse nell’ambito di una vicenda giudiziaria che vedeva – tra le vittime – anche l’ex presidente del Napoli, l’ingegnere Corrado Ferlaino. Al termine di un processo durato alcuni mesi la Corte delle Assisi Criminali presieduta da Marco Villa ha così riconosciuto la responsabilità della professionista elvetica per «ripetuta appropriazione indebita per circa 150mila franchi» (un importo minore rispetto a quanto ipotizzato dalla pubblica accusa, ndr), «ripetuta sottrazione di cose requisite o sequestrate, tentata coazione nei riguardi di Corrado Ferlaino», oltre che di «ripetuta coazione nei confronti delle altre vittime e ripetuta diffamazione». La Peran è stata invece assolta per insufficienza di prove dalle accuse di amministrazione infedele, tentata estorsione, ingiuria e violazione del segreto professionale. Cala così il sipario su una vicenda giudiziaria scaturita da fatti che risalgono a un periodo compreso tra il 2009 e il 2011: quando cioè la professionista 53enne sottrasse a Ferlaino – nell’ambito della gestione di una società fondata in Svizzera – somme di denaro, presentandogli alla fine anche un conto salato: tre note per un ammontare di oltre due milioni di euro. Il compenso pattuito tra Ferlaino e la Peran per la gestione di quella società era di circa 10mila franchi e 6-7mila euro l’anno. Dalle indagini emerse che l’ex patron del Napoli fu oggetto di un raggiro che sfiorava addirittura i contorni dell’estorsione: perché quando l’imprenditore napoletano chiese, come suo diritto, di rientrare in possesso delle azioni e della gestione della società amministrata dalla Peran offrendo 100mila euro, quest’ultima rilanciò, pretendendone 600mila. Il procuratore pubblico Paolo Bordoli aveva chiesto una pena di tre anni e l’interdizione dall’esercizio della professione, sempre per tre anni. Il tribunale elvetico ha tuttavia respinto quest’ultima richiesta condannando l’imputata a risarcire il 10 per cento dell’indebito profitto alla parte lesa. Fonte: Il Mattino