L’auto di Lorenzo Insigne imbocca Viale Gramsci, è sabato sera, qualche minuto prima di mezzanotte. La movida azzurra si muove sinuosa tra le strade della città, quando va in scena un copione “noto”. Dal buio sbuca un Aprilia scuro, due persone a bordo, volto coperto, Lorenzo è fermo al semafaro. I due affiancano la «Mercedes» dal lato sinistro anteriore. Il passeggero del motociclo scende dal mezzo, apre la portiera e punta la pistola alla testa del calciatore. Il bandito si fa consegnare il Rolex e due bracciali con diamanti che indossa al polso, oltre alla somma di 800 euro. Poi arriva la beffa. Il sorriso smagliante e la richiesta: «Mo’vai a Firenze, mi raccomando gioca bene, segna e dedicami il gol». Superato il momento di choc Insigne si reca a Frattamaggiore, presso la stazione dei carabinieri dove segnala l’aggressione. Solo dodici ore dopo, ieri mattina, sua moglie Genny tornerà dai militari dell’Arma per formalizzare la denuncia. Due cose appaiono già chiare. I banditi avevano puntato Insigne e i suoi gioielli ben prima di incrociarlo in viale Gramsci, e poi si tratta di professionisti, gente che opera seguendo sempre le identiche modalità. C’è chi sostiene che i raid e le rapine vengono messe a segno sempre nei momenti più delicati per la squadra, ma al di là delle dietrologie, è bene riportare i fatti all’interno di un quadro preciso di criminalità comune. (tratto da Il Mattino)