Gianfelice Facchetti a Il Mattino: “Papà? Il Napoli gli ricordava il primo gol in serie A e..”
Gianfelice Facchetti, figlio dell’ex difensore dell’Inter e della Nazionale italiana, Giacinto Facchetti, in un’intervista a Il Mattino parla della carriera del padre e del legame col Napoli.
«Finito il ciclo della grande Inter, alcuni giocatori iniziarono a cambiare squadra. Suarez alla Sampdoria, Corso al Genoa, Burgnich appunto al Napoli. Giravano voci, si facevano congetture. E allora papà disse che, se proprio avesse dovuto lasciare l’Inter, gli sarebbe piaciuto giocare a Napoli. Non solo perché c’era Burgnich. Forse papà era un po’ scaramantico».
«Il Napoli gli ricordava il primo gol in serie A e il San Paolo lo riportava a quella sera del ‘68, alla semifinale dell’Europeo che si decise con il lancio della monetina: il capitano dell’Italia era lui».
«Lele raccolse il testimone da papà quando si concluse il ciclo della grande Inter ed è stato per tanti anni un punto di riferimento, prima da calciatore e poi da dirigente. Ha vissuto epoche non facili, poi vi sono stati gli anni al fianco di Mancini, Mourinho e Conte, quelli in cui ha dato un contributo alla rinascita del club. Un uomo che vi è fatto apprezzare perché è di poche parole e di molta sostanza. E conosce bene le linee di frequenza nerazzurra».
«Mollò un po’ troppo presto quando decise di andare via. Magari pensava che quella Inter non potesse raggiungere altri importanti risultati e invece con Simone Inzaghi sono arrivati le coppe, la finale di Champions League, lo scudetto».
«Cominciamo da dietro, cioè dai portieri. Io lo sono stato fino ai 22 anni e quando ero ragazzo fui allenato da Giaguaro Castellini, il “portiere con la visiera” che era entrato nello staff tecnico dell’Inter. Tra i portieri del Napoli mi colpì poi Giuliani, con la sua tragica storia. Vidi dal vivo il primo gol di Maradona a San Siro: che emozione. E poi c’è la storia di un presidente che fece epoca, l’ho raccontata in teatro, dove ho appena portato il racconto sul Grande Torino perché va onorata la memoria di quegli uomini».
«Giorgio Ascarelli. Una figura altissima, un imprenditore che negli anni ‘20-‘30 aveva idee moderne. Costruì lo stadio e dopo la sua prematura morte glielo dedicarono. Ma accadde qualcosa, che ho ricordato appunto in teatro, durante i Mondiali del ‘34, quattro anni dopo la morte di Ascarelli. Si doveva disputare a Napoli la partita tra Germania e Austria. Il regime si fece lo scrupolo di fare giocare gli alleati tedeschi nell’impianto intitolato ad Ascarelli, che era ebreo, e così fu cambiata improvvisamente la denominazione in stadio Partenopeo. Ma per l’opinione pubblica quella partita fu giocata nello stadio Ascarelli: il suo ricordo fu più forte della stupidità del regime».
«Dare qualche segnale per una lettura più appropriata in questa prima fase del campionato. Si pensava che Conte, dopo una serie di vittorie, mettesse il turbo, come è nel suo stile e invece lo stop contro l’Atalanta dice che la lotta è più aperta di quanto si immaginasse. Può essere un anno di sorprese».
«Succede che un calciatore con quella mole soffre se non è al top della condizione fisica e ne risente anche la squadra. E poi ricordo che, quando tornò a Milano, Inzaghi gli preferiva Dzeko, più saggio sotto l’aspetto tattico e di un’eleganza sopraffina».