David Neres rapinato dopo la partita, ma Napoli è la città che lavora, produce e forma competenze internazionali

Napoli è una città che colleziona primati

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È sempre stata «l’altra Napoli», puntualmente poco approfondita, messa in sordina rispetto alla quotidiana narrazione dei pur evidenti, indiscutibili limiti di degrado ambientale, disoccupazione, criminalità diffusa, dispersione scolastica. Ma da qualche anno la tentazione di cristallizzare ancora quell’etichetta sta cedendo gradualmente il passo alla verità di dati economici importanti, come quelli dell’export, di cervelli che tornano a casa per continuare la loro attività, di investimenti privati in aumento, persino di primati nazionali. La città che lavora, produce e forma competenze internazionali, pur tra tante difficoltà, non è più una sorta di eccezione alla regola: è la componente sempre più rilevante di una realtà in crescita, quasi sempre prima nel Sud in varie classifiche, molte sconosciute forse agli stessi napoletani. Prendete il caso, ad esempio, dell’aeroporto di Capodichino: a luglio, come documentato dal Mattino in questi giorni con dati di Assaeroporti, ha fatto registrare un nuovo record di passeggeri, 1.482.761, il 4,7% in più rispetto allo stesso mese del 2023 ma soprattutto il 27% in più rispetto al 2019, confermandosi al quarto posto in Italia dopo Fiumicino, Milano Malpensa e Bergamo e ovviamente il primo nel Mezzogiorno.

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Tra export e turismo

 

Non è un risultato scontato, almeno non lo era fino a pochi anni fa. Così come pochi avrebbero scommesso che Napoli e provincia fossero al primo posto in Italia, nel 2023, per valore di export tra le città (14,5 miliardi di euro, dato Sace), contribuendo in modo prepotente al clamoroso record della Campania, la regione capofila per esportazioni (tendenza, peraltro, che si è mantenuta anche nei primi mesi del 2024). «Una città in movimento nella quale le opportunità si compensano con le difficoltà», ebbe modo acutamente di sottolineare l’assessore alle finanze del Comune, Pier Paolo Baretta, alla presentazione del primo “Osservatorio Economia e Società Napoli” voluto dall’amministrazione guidata dal sindaco Manfredi e affidato all’analisi dei ricercatori Svimez, con il coordinamento del professor Gaetano Vecchione della Federico II. Lo studio spiega perché non ha più molto senso ormai parlare di «altra Napoli» se si prende in considerazione il tessuto economico complessivo della città, la spinta fortissima arrivata dal turismo, ad esempio, e i riflessi (ancora parziali, peraltro) sull’occupazione determinati da filiere strategiche, come quella delle costruzioni (la più espansiva, almeno tra il 2019 e il 2022). Per non accennare ai cantieri del Pnrr e alla sempre più marcata impronta sulla contaminazione dei saperi determinata dall’ecosistema, sempre più internazionale, dell’innovazione creato dalla Federico II nel Polo di San Giovanni a Teduccio e replicato successivamente in altri contesti universitari del Mezzogiorno. Napoli è ormai la città di Apple, Cisco, Deloittee di tante altre Academy sulle quali investono anche le imprese private, in una sinergia continua e concreta che eleva il livello della ricerca e apre nuove opportunità a chi sceglie la città per perfezionare i suoi studi (anche e soprattutto dall’estero).

 

I primati di Napoli

 

Non è un caso, dunque, che dal lavoro della Svimez sia emerso non solo che Napoli contribuisce per il 25% al Pil della Campania e per il 7% a quello del Mezzogiorno (derivante all’87% dai servizi) ma soprattutto che il Pil pro capite, elaborato sulla stima del prodotto interno lordo di Napoli, risulta più elevato della media nazionale: 30.804 euro rispetto a 30.231 euro. «Siamo la prima città in Italia che si dota di una stima del Pil», commentò il professor Vecchione nell’illustrare il dato, a dir poco clamoroso ma supportato da valutazioni scientifiche.
In questo dinamismo contribuisce sicuramente, come detto, il Pnrr, la sfida più decisiva per un’amministrazione pubblica, soprattutto al Sud. Nell’Osservatorio il Comune ha reso noto che nel 2023 ha stipulato contratti Pnrr per un valore complessivo di circa 450 milioni cui sono da aggiungere contratti per altri circa 75 milioni stipulati tra il primo gennaio e il 6 febbraio 2024. Il salto di qualità dipenderà però soprattutto dall’attuazione del Piano di risanamento e riqualificazione di Bagnoli-Coroglio per il quale Napoli ha ricevuto 1,2 miliardi dal Governo in anticipazione del Fondo sviluppo e coesione destinato alla Regione Campania. Sarà quello il vero banco di prova anche per il sistema delle imprese definito comunque dal Rapporto «vivo e dinamico»: su 11mila imprese osservate e 45mila bilanci analizzati, immaginandole come un unico grande gruppo si arriverebbe a ricavi totali di 28,652 miliardi di euro, in aumento del 10,6% dal 2021. Non è un dato da poco considerato tra l’altro che nella stragrande maggioranza si tratta di piccole e microimprese, fino a 10 addetti, e che i riflessi occupazionali non sono ancora accettabili, soprattutto tra le donne. Va peraltro sottolineato che per ognuno di questi dati occorre fare la media tra le varie zone della città, assai disomogenee tra di loro: quella con la maggiore percentuale (oltre il 60%) di imprese che fatturano più di 500mila euro è Vomero-Arenella, seguita da Zona Ospedaliera-Rione Alto-Camaldoli-Colli Aminei-Capodimonte. Chiaia primeggia invece per startup innovative (31) e PMI innovative (13). In questo scenario colpisce anche, come sottolinea l’Osservatorio, che sono «in crescita le imprese nei servizi di informazione e comunicazione, con circa 2.400 con una quota dominante delle attività di produzione di software e di consulenza informatica (1.100 unità locali) e di servizi informatici (oltre 800 unità locali)».

 

È la Napoli che innova, a dispetto di pregiudizi e luoghi comuni, di rassegnazione e sfiducia. La Napoli che dimostra perché il cambio di paradigma non è un’esagerata professione di ottimismo.

 

A cura di  Nando Santonastaso (Fonte: Il Mattino.it)

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