La carriera di Corbo
La sua vita è un pendolo che oscilla tra la famiglia e il campo. «Il calcio qui è meno tattico rispetto all’Italia: non sappiamo quasi nulla dei nostri avversari. Però si lavora tanto sull’intensità». In inglese, ovviamente. «All’inizio è stato po’ complicato ma adesso mi trovo perfettamente a mio agio». Tra le cose più impegnative ci sono i viaggi. «A volte facciamo trasferte anche di 6-7 ore di volo». Per non parlare delle differenze climatiche: «Ci è capitato di giocare in Messico a 2000 metri di altitudine con 30 gradi e dopo due giorni di trovarci a -10 nel gelo di New York». Fa tutto parte dell’esperienza, come quella di avere dall’altra parte del campo Leo Messi. «La prima volta che ci siamo ritrovati da avversari ho fatto una corsa negli spogliatoi per chiedergli la maglia e con grande sorpresa non solo me l’ha data ma mi ha anche chiesto la mia in cambio». Non esattamente come l’impatto con Luis Suarez, compagno di Messi a Miami. «Primo pallone, vado a contrastarlo e gli rifilo un calcetto, quel tanto che basta per sbilanciarlo e anticiparlo. Lui si gira, mi guarda male, mi dà una spinta e poi mi sorride. Quella è stata una delle mie migliori partite in Mls. Alla fine ci siamo abbracciati e mi ha fatto i complimenti». Insomma, niente morso alla Chiellini. Dall’anno scorso a Toronto è arrivato Lorenzo Insigne, un altro napoletano. «Ha qualità altissime e in questo campionato spicca, infatti ogni volta che tocca il pallone lui si accende lo stadio. Ci sentiamo spesso». Magari anche per un commento sul Napoli. Perché anche a distanza di chilometri, la fede calcistica di Gabriele Corbo non è cambiata. «Approfittando del fuso orario riesco a vedere quasi sempre le partite del Napoli. Non mi sono perso un momento della festa scudetto. Ero in videochiamata con mio padre e mio cugino».
L’abbraccio di Mihajlovic
Gabriele è andato via da Napoli prestissimo perché Claudio Vinazzani, ex capitano azzurro, lo ha voluto nel settore giovanile dello Spezia. Lì è cresciuto come uomo e come calciatore, poi il grande salto in serie A al Bologna dove ad aprirgli le porte del calcio degli adulti ci ha pensato Sinisa Mihajlovic che lo ha fatto esordire a maggio 2019 contro il Parma.
Nella stagione 2019-20 è in pianta stabile con la prima squadra. «Un giorno Sinisa mi ha convocato nel suo ufficio, ero terrorizzato. E invece mi voleva dire che credeva in me. Detto, fatto: la settimana dopo ero titolare». Ma poi sono arrivati il Covid, il lockdown e la malattia di Sinisa. «Gli allenamenti in video con Mihajlovic erano massacranti. Non mollava un attimo, anche quando le sue condizioni peggioravano. La tenacia è stata la sua grande forza, ma forse anche la sua debolezza. Quando andammo a fargli una sorpresa sotto la finestra della camera dell’ospedale provò a mettere tutto se stesso per nascondere l’emozione». E poi a novembre del 2022 la notizia della morte. «Ero già un giocatore del Montreal, ma in quel periodo ero in Italia per lo stop del campionato americano. Quella notizia è stata uno choc per me. Non dimenticherò mai quanta gente c’era al funerale: era impossibile non voler bene a un uomo così».
Fonte: Il Mattino