Il Mattino – A cento anni dalla nascita, il ricordo di Concetto Lo Bello, il Principe degli arbitri

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Esattamente 100 anni fa, il 13 maggio 1024, nasceva colui che, ancora oggi, è considerato il più grande arbitro di tutti i tempi, il Principe degli arbitri, Concetto Lo Bello. Il Mattino evidenzia un evento che si terrà a Siracusa, sua città natale, oggi a Palazzo Vermexio, per ricordarlo e per sottolineare ancora una volta la sua grandezza che resiste nel tempo. Se ai suoi tempi vi fosse stato il Var, avrebbe sicuramente lasciato l’auricolare negli spogliatoi. Cari colleghi Var e Avar rassegnatevi, in campo decide uno solo: io. Concetto Lo Bello, nato cento anni fa (13 maggio 1924) a Siracusa e scomparso nel 1991, è stato il Principe degli arbitri. E qualcosa in più. Temutissimo da giocatori, allenatori, presidenti e tifosi perché riusciva a mettere in riga tutti. Il 20 aprile 1958, allo stadio Collana, c’era Napoli-Juventus. Cinquemila spettatori non avevano il posto sugli spalti e Lo Bello decise di farli entrare e sistemare sulla pista d’atletica. Nessuno si permise gesti sconsiderati, soltanto a fine partita vi fu l’invasione di campo per festeggiare la vittoria degli azzurri. Quattordici anni dopo, autunno del ‘72, in un Roma-Napoli don Concetto prese per il bavero un tifoso invasore, gli mollò un calcio nel sedere e lo consegnò ai poliziotti.

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La sua storia è stata raccontata dal figlio Rosario, che ne seguì le orme come arbitro internazionale, in un libro dal titolo “Concetto Lo Bello: storie e momenti di vita tratti dall’archivio di famiglia” e lunedì 13 alle ore 17 nel Salone Borsellino a Palazzo Vermexio di Siracusa è in programma una cerimonia coordinata dal giornalista Salvatore Biazzo, con gli interventi tra gli altri dei presidenti del Coni Giovanni Malagò e dell’Associazione arbitri Carlo Pacifici, della famiglia Lo Bello e del sindaco di Siracusa Francesco Italia.
Settant’anni fa, 9 maggio 1954, il debutto in serie A, dove raggiunse il primato di 328 partite, alle quali aggiungerne 93 in campo internazionale, comprese quelle ai Mondiali e alle Olimpiadi. Un uomo tutto d’un pezzo, che da giovane respinse due grotteschi tentativi di corruzione, il primo nel dopoguerra, quando avrebbero voluto “donargli” un sacco di frumento, e l’altro anni dopo, col presidente del Cosenza che offrì 5 milioni di lire per aggiustare una partita. Non ebbe timore degli ispettori del Fisco inviati nella sua abitazione dal ministro delle Finanze, Luigi Preti, ferrarese e tifoso della Spal, dopo i tre rigori assegnati al Napoli – tutti trasformati da José Altafini – in una partita contro gli emiliani.
Lo Bello rese atletica la figura dell’arbitro. Aveva fatto tanti sport, a partire dall’amata pallanuoto. Lanciò l’Ortigia e, quando si dedicò alla politica (deputato Dc e poi sindaco di Siracusa), sostenne il progetto della Cittadella dello Sport. La passione per l’arbitraggio fu più forte di tutto. Raramente ammetteva gli errori, una volta lo fece in una puntata della “Domenica Sportiva” a proposito di un rigore non fischiato, puntualizzando: «Non c’era a disposizione la moviola in campo».
Non aveva feeling con Gianni Rivera, bandiera del Milan che si ribellò in una partita contro la Lazio nel ‘73 per il gol di Luciano Chiarugi annullato per un fuorigioco che non c’era. Si scatenò l’ira dei rossoneri, l’allenatore Nereo Rocco dopo essere stato espulso fece un inchino all’arbitro. Al termine della radiocronaca, a voler sottolineare quell’errore, Sandro Ciotti chiosò: «Ha arbitrato il signor Lo Bello da Siracusa davanti a 80mila testimoni».
Franco e Ciccio e Lando Buzzanca, siciliani come lui, gli resero omaggio in due film. Gianni Brera lo soprannominò il Minosse degli stadi, perché c’era qualcosa di mitologico in lui. Per Angelo Pesciaroli, autore della sua scheda nella Treccani dello sport, «è stato il più famoso arbitro italiano». Per il figlio Rosario, apprezzato fischietto negli anni Ottanta, «incarnava l’onore e imponeva il rispetto delle regole: arbitro e galantuomo, ogni decisione era una sentenza».
Anche alcune di Lo Bello jr furono contestate, come quelle nella partita persa dal Milan nel ‘90 a Verona (quattro espulsi rossoneri, Arrigo Sacchi compreso) che avvicinò il Napoli allo scudetto e fece dire a Rivera con perfida ironia: «Speriamo che adesso in quella famiglia vi siano soltanto figlie femmine».
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