“L’ UOMO DEI SOGNI”. CdS Campania ‘È quello bravo, però non ha mai vinto un trofeo?
È quello bravo, però non ha mai vinto un trofeo
In attesa di colmare, magari quest’anno, la “vergogna” personale, resta il tecnico che ha portato la squadretta di una città a far parlare di sé in tutto il mondo
Domani vuole dare un dispiacere a De Rossi
Gasperini l’europeo è oggi l’uomo dei tre destini: Atalanta, Roma e anche Napoli
Quattro sconfitte e una rivoluzione a casa Percassi: tutto iniziò così
Ora il presidente dice: «Se vuole andar via, venga e ne parleremo»
I l Gasp? Chi, quello che? Quello che mai dimenticare da dove si viene. 2016, Gasperini taglia il cordone ombelicale col Genoa e nasce a nuova vita con l’Atalanta. Inizio da pentimenti e sensi di colpa: dopo cinque giornate, quattro sconfitte e penultimo posto in classifica. Se non è la replica del fallimento con l’Inter, è qualcosa che gli somiglia abbastanza. Sembra già la fine, ma riguardandolo da qui, dalla doppia finale del 2024, è un vero e sconvolgente inizio di tutto.
È quello che in pieno marasma di popolo sale sui colli, verso casa Percassi, per parlare alla vigilia di Atalanta-Napoli. Solo loro conoscono parola per parola, ma la sostanza del confronto è storia ufficiale. Presidente, non tutti i titolari parlano la mia lingua, non capiscono neanche con i sottotitoli, se devo andare a fondo preferisco andarci a modo mio, col Napoli faccio giocare i ragazzi di Zingonia e vada come vada. Sull’altra poltrona del salotto c’è l’uomo che a Zingonia è cresciuto da giocatore, che Zingonia l’ha rivoltata come un guanto da presidente, dopo tutto è musica per le sue orecchie: va bene Gasperini, proceda. E vediamo che succede.
È la neonata Atalanta dell’eretico Gasp, del provocatore Gasp, dell’incosciente Gasp, con dentro i Caldara e i Gagliardini ancora senza barba, una squadra di forsennati che va a difendere nella metà campo del nemico e da lì non lo fa uscire. Meglio, ogni tanto scappa qualcuno e fa gol in contropiede, da mani nei capelli, ma la contromossa del Gasp non è rinforzare la difesa e scavare trincee, è banalmente fare un gol in più. Improvvisamente, la Bergamo eternamente precaria tra A e B, una volta perfino in C, traguardo massimo una Coppa Italia nel ’63 e titolo onorifico da bimbi ai giardinetti (“reginetta delle provinciali”), proprio quell’Atalanta lì svolta di colpo, assume una nuova postura e nel giro di poche stagioni diventa una squadra, una Dea, più famosa della sua città, sorry sir, are you from Atalanta?
Il Gasp è quello che, anno dopo anno, sfratta politici, banchieri, attori, giornalisti, cantanti, vescovi, artisti dalle classifiche della popolarità locale, venerato come un santone, ascoltato come un guru, e diciamo pure impunito come un semidio, perché al Gasp si perdona tutto, perché il Gasp a Bergamo è come il maiale: del Gasp non si butta niente.
È quello che manda a quel paese i giornalisti quando si mettono di traverso, è quello permaloso, è quello che certi giocatori viziatucci e sedentari definiscono dittatore, è quello cacciato dagli arbitri per proteste (sue, non degli arbitri), è quello antipatico in tutta Italia, è quello che dà del cascatore a Chiesa perché una volta, a Firenze, Chiesa si butta davvero come Cagnotto senza essere sfiorato da Toloi, l’arbitro fischia un rigore decisivo, Pioli (allora tecnico viola) dice che «Chiesa ha compiuto un gesto tecnico-tattico di grande intelligenza», e allora il Gasp non ci vede più, l’appoggia piano, sarà Chiesa, sarà anzi è un grande giocatore, però resta un cascatore (da quella volta, l’antipatico a tutta Italia diventa così simpatico a Firenze da tornarci ogni volta tranquillo e sicuro come un gatto in tangenziale). È quello che se si presentasse alle elezioni di giugno alla guida di una lista civica “Gasp forever” sommergerebbe di voti i candidati a duello Carnevali e Pezzotta, facendo il sindaco a vita.
È quello che bravo, certo è bravo, però non ha mai vinto un trofeo. In attesa di colmare magari quest’anno questa vergogna personale, resta comunque quello che ha portato la squadretta di una cittadina a far parlare di sé in tutto il mondo, a diventare un esempio di spettacolo pop anche nei circoli snob delle grandi coppe, soprattutto a spingere gli ispidi e ruvidi indigeni di Orobia a sbarellare come tanti Pulcinella, in mille e una notte, in Europa battendo squadre della SuperLega di fatto, in Italia con dei risultati da calcetto notturno (7-0, 6-1, 5-0), ma soprattutto, prima di tutto, mettendo in piedi un gioco mai visto prima, il calcio svalvolato dei forsennati, sì, quelli che vanno a prendere l’avversario dentro la sua area, se è il caso sotto la doccia, e non lo lasciano più vivere. Zero tituli, zero trofei, ammesso che Bergamo tre volte di fila in Champions sia zero, ma qualcosa di più e di meglio, per chi davvero capisca e abbia voglia di capire: tu chiamale, se vuoi, emozioni.
È quello che appena un ciclo, il primo ciclo, il ciclo della palingenesi, il ciclo di quel trio dipinto sui grandi murales di periferia, Ilicic-Zapata-Papu, lentamente gira in declino, lui è quello che non si lascia prendere dalla malinconia e dalla depressione, non cade nel pericolo inevitabile della nausea e della pancia piena, non dice più di così non potremo mai fare, ma anzi la prende di petto, la butta sull’orgoglio, e clamorosamente riparte da capo, ristruttura l’edificio senza bonus-facciate, giovane come un minorenne, fresco come un bebè, entusiasta come un innamorato. Due finali quest’anno, unica squadra italiana: ci sta di perderle anche tutte e due, come no, ma il Gasp sarà quello che comunque tutti quanti imploreranno di restare.
È quello che proprio così, potrebbe anche andarsene, sulle Mura Venete patrimonio Unesco aleggia la nube scura della separazione, tutti temono il Napoli, anche se magari nessuno capisce come De Laurentiis possa mettere in alternativa Pioli e il Gasp, idee chiare non chiarissime, come scegliere tra la luna e il sole, comunque affari loro, giù le mani del Gasp. La speranza è che il Gasp stia usando il Napoli per far ingelosire l’Atalanta, come nei matrimoni a un certo punto bisogna mettersi il tacco 12 o lo smoking per sbaraccare i rischi del torpore abitudinario, Percassi intanto l’ha già messa così: «Ha un contratto fino all’anno prossimo. Ma se vuole andare, deve fare lui il primo passo. E allora ne parleremo». Ne parleranno e prolungheranno, questo il sogno orobico, trofeo o non trofeo. Perché magari non lo dice tutta Bergamo, non lo dice la Bergamo che dà tutti i meriti alla società modello, ma in tanti come me lo dicono apertamente: senza il Gasp, non sarà più Atalanta. Una certa Atalanta. Questa Atalanta. Il Gasp è quello che… Eccetera eccetera. Per chiuderla qui chiedo scusa a Montanelli e gli sfilo dalla collezione un’idea delle sue. Lui lo scrisse del Giro d’Italia, io lo trasferisco pari pari. Il Gasp? Il Gasp è quello che fa di Bergamo un luogo particolare, un luogo dove è sempre domenica.
È la neonata Atalanta dell’eretico Gasp, del provocatore Gasp, dell’incosciente Gasp, con dentro i Caldara e i Gagliardini ancora senza barba, una squadra di forsennati che va a difendere nella metà campo del nemico e da lì non lo fa uscire. Meglio, ogni tanto scappa qualcuno e fa gol in contropiede, da mani nei capelli, ma la contromossa del Gasp non è rinforzare la difesa e scavare trincee, è banalmente fare un gol in più. Improvvisamente, la Bergamo eternamente precaria tra A e B, una volta perfino in C, traguardo massimo una Coppa Italia nel ’63 e titolo onorifico da bimbi ai giardinetti (“reginetta delle provinciali”), proprio quell’Atalanta lì svolta di colpo, assume una nuova postura e nel giro di poche stagioni diventa una squadra, una Dea, più famosa della sua città, sorry sir, are you from Atalanta?
Il Gasp è quello che, anno dopo anno, sfratta politici, banchieri, attori, giornalisti, cantanti, vescovi, artisti dalle classifiche della popolarità locale, venerato come un santone, ascoltato come un guru, e diciamo pure impunito come un semidio, perché al Gasp si perdona tutto, perché il Gasp a Bergamo è come il maiale: del Gasp non si butta niente.
È quello che manda a quel paese i giornalisti quando si mettono di traverso, è quello permaloso, è quello che certi giocatori viziatucci e sedentari definiscono dittatore, è quello cacciato dagli arbitri per proteste (sue, non degli arbitri), è quello antipatico in tutta Italia, è quello che dà del cascatore a Chiesa perché una volta, a Firenze, Chiesa si butta davvero come Cagnotto senza essere sfiorato da Toloi, l’arbitro fischia un rigore decisivo, Pioli (allora tecnico viola) dice che «Chiesa ha compiuto un gesto tecnico-tattico di grande intelligenza», e allora il Gasp non ci vede più, l’appoggia piano, sarà Chiesa, sarà anzi è un grande giocatore, però resta un cascatore (da quella volta, l’antipatico a tutta Italia diventa così simpatico a Firenze da tornarci ogni volta tranquillo e sicuro come un gatto in tangenziale). È quello che se si presentasse alle elezioni di giugno alla guida di una lista civica “Gasp forever” sommergerebbe di voti i candidati a duello Carnevali e Pezzotta, facendo il sindaco a vita.
È quello che bravo, certo è bravo, però non ha mai vinto un trofeo. In attesa di colmare magari quest’anno questa vergogna personale, resta comunque quello che ha portato la squadretta di una cittadina a far parlare di sé in tutto il mondo, a diventare un esempio di spettacolo pop anche nei circoli snob delle grandi coppe, soprattutto a spingere gli ispidi e ruvidi indigeni di Orobia a sbarellare come tanti Pulcinella, in mille e una notte, in Europa battendo squadre della SuperLega di fatto, in Italia con dei risultati da calcetto notturno (7-0, 6-1, 5-0), ma soprattutto, prima di tutto, mettendo in piedi un gioco mai visto prima, il calcio svalvolato dei forsennati, sì, quelli che vanno a prendere l’avversario dentro la sua area, se è il caso sotto la doccia, e non lo lasciano più vivere. Zero tituli, zero trofei, ammesso che Bergamo tre volte di fila in Champions sia zero, ma qualcosa di più e di meglio, per chi davvero capisca e abbia voglia di capire: tu chiamale, se vuoi, emozioni.
È quello che appena un ciclo, il primo ciclo, il ciclo della palingenesi, il ciclo di quel trio dipinto sui grandi murales di periferia, Ilicic-Zapata-Papu, lentamente gira in declino, lui è quello che non si lascia prendere dalla malinconia e dalla depressione, non cade nel pericolo inevitabile della nausea e della pancia piena, non dice più di così non potremo mai fare, ma anzi la prende di petto, la butta sull’orgoglio, e clamorosamente riparte da capo, ristruttura l’edificio senza bonus-facciate, giovane come un minorenne, fresco come un bebè, entusiasta come un innamorato. Due finali quest’anno, unica squadra italiana: ci sta di perderle anche tutte e due, come no, ma il Gasp sarà quello che comunque tutti quanti imploreranno di restare.
È quello che proprio così, potrebbe anche andarsene, sulle Mura Venete patrimonio Unesco aleggia la nube scura della separazione, tutti temono il Napoli, anche se magari nessuno capisce come De Laurentiis possa mettere in alternativa Pioli e il Gasp, idee chiare non chiarissime, come scegliere tra la luna e il sole, comunque affari loro, giù le mani del Gasp. La speranza è che il Gasp stia usando il Napoli per far ingelosire l’Atalanta, come nei matrimoni a un certo punto bisogna mettersi il tacco 12 o lo smoking per sbaraccare i rischi del torpore abitudinario, Percassi intanto l’ha già messa così: «Ha un contratto fino all’anno prossimo. Ma se vuole andare, deve fare lui il primo passo. E allora ne parleremo». Ne parleranno e prolungheranno, questo il sogno orobico, trofeo o non trofeo. Perché magari non lo dice tutta Bergamo, non lo dice la Bergamo che dà tutti i meriti alla società modello, ma in tanti come me lo dicono apertamente: senza il Gasp, non sarà più Atalanta. Una certa Atalanta. Questa Atalanta. Il Gasp è quello che… Eccetera eccetera. Per chiuderla qui chiedo scusa a Montanelli e gli sfilo dalla collezione un’idea delle sue. Lui lo scrisse del Giro d’Italia, io lo trasferisco pari pari. Il Gasp? Il Gasp è quello che fa di Bergamo un luogo particolare, un luogo dove è sempre domenica.
Fonte: CdS