Altafini alla Gazzetta dello Sport: “Core ‘Ngrato? Non è giusto, feci il mio lavoro”

Ecco la lunga intervista rilasciata da Josè Altafini alla Gazzetta dello Sport

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Nell’edizione odierna de ‘La Gazzetta dello Sport’, è stata pubblicata una lunga intervista all’ex campione Brasiliano Josè Altafini. Leggenda del calcio italiano che ha vestito le maglie di Milan, Napoli e Juventus.
Ecco un estratto delle sue parole.
Altafini, partiamo dai soprannomi. I primi in famiglia: Quica e Zezo.
“I miei chiamavano Quica mio fratello, poi è passato a me. È il tamburello che serve a Rio per accompagnare il samba. Forse perché avevo la musica addosso, o perché ho la pelle dura del tamburo. Zezo lo ricordo con affetto, perché così mi chiamava mia mamma Maria, originaria del Polesine”.
Mazola, con una zeta.
“Claudio Cardoso, l’allenatore del Palmeiras, vide una foto del grande Valentino e disse che gli somigliavo. Nel 1958 arrivai in Italia come Mazola, dopo qualche mese presero tutti a chiamarmi Altafini. Credo che all’inizio mi abbia penalizzato… troppi cambi di identità. Mazola l’ho portato con grande orgoglio”.
Gipo Viani al Milan le dava del Coniglio.
“È una cosa vergognosa, avevo coraggio, eccome: basti dire che ho giocato per tutta la vita senza parastinchi”.
Per Nereo Rocco invece era Iòse.
“Una volta al Paròn feci uno scherzo e saltai fuori da un armadietto mezzo nudo, lui prese un tal spavento: “Iòse ti xe un mona”. Qualche tempo dopo, spinto dai compagni, feci lo stesso scherzo a Liedholm. Il Barone rimase imperturbabile, una sfinge. Con la sua voce pacata disse: “Giose, non è questo tuo armadietto”.
Aldo Biscardi durante una trasmissione la chiamò Giosuè.
“(Ride) Come il profeta della Bibbia, che spettacolo”.
A Napoli da cinquant’anni lei è Core ‘Ngrato.
“Non è giusto, non c’è nessun cuore infranto, passai alla Juve perché il Napoli non mi confermò. Poi, da juventino, feci il mio lavoro, cioè segnai il gol dello scudetto”.
Per Napoli sono ancora Core’ Ngrato? Non è giusto: feci il mio lavoro
Contabilità alla mano, sono 216 i gol in Serie A: 4° di sempre dopo Piola, Totti e Nordhal e insieme a Meazza. Quale gol ricorda con più affetto?
“La doppietta a Wembley, nel 1963, prima Coppa dei Campioni vinta da una squadra italiana, contro il Benfica di Eusebio. All’intervallo Rocco mi disse: “Me sa che gà razon Gipo: ti xe un coneio”. Voleva caricarmi, infatti entrai in campo e decisi quella finale. Alla fine il Paròn mi coccolava: “Ciò, Iòse, ti xe un gran zocadòr”.
Lei ha giocato con Pelé, Schiaffino, Rivera, Sivori.
“Tutti di un’altra categoria, io stavo un livello sotto. Ma il mio idolo era Zizinho. Era in campo il giorno del Maracanazo, il Mondiale perso nel 1950. Sai che mi ricordo la formazione a memoria? Barbosa, Bigode, Juvenal, Augusto, Danilo, Bauer, Jair, Zizinho, Chico, Ademir, Friaca (sentire quella Selecao declinata dalla sua favolosa cantilena è musica pura, ndr)… dunque, Zizinho lo incrociai nel 1957, io al Palmeiras, lui nel San Paolo. Mi ruba il pallone, io ruzzolo per terra. A fine azione viene da me, mi tende il braccio e mi fa: ‘Scusami ragazzo’. Questi sono i veri campioni”.
Lei ha vestito la maglia di due nazionali.
“Col Brasile ho vinto la coppa del mondo del ‘58 in Svezia, segnai due gol all’Austria: fu il torneo in cui si impose la stella di Pelé. Con l’Italia ho partecipato al Mondiale del 1962 in Cile. Eravamo fortissimi, ma c’era tanta disorganizzazione”.
Nella sua seconda vita lei è stato, il televisione, il pioniere delle seconde voci in telecronaca.
“Primi Anni 80, lavoravo a Telealtomilanese, il mio amico Luigi Colombo mi chiama e mi dice se vado a vedere con lui un torneo giovanile. La telecronaca la faceva un giornalista che non sapeva nulla di calcio. A un certo punto dice: ‘…bello questo pallonetto rasoterra’. A quel punto bisognava fare qualcosa”.
Lei ha inventato uno stile e un linguaggio. “Golasso”, “Incredibile amisci”. L’allegria al servizio del pubblico.
“Il calcio è divertimento. Ammiravo Beppe Viola, il migliore a trattare il pallone con ironia. Al Mondiale del 1982 sto facendo una telecronaca con Bruno Longhi. C’è N’Kono, il portiere del Camerun, con la tuta. Longhi chiede perché sia conciato così. E io: ‘Perché l’allenatore ha detto mettiamocela tutta, e N’Kono ha capito che doveva mettersi la tuta’. Mi divertivo io, ridevano gli altri: oggi urlano e basta”.
Ieri e oggi ce ne sono stati tanti più forti di me.
In giro ci sono sempre più ex calciatori che, riuscendo a rimanere seri, assicurano che avrebbero meritato il Pallone d’oro. Anche lei?
“Ma no, ieri e oggi ce ne sono stati tanti più forti di me. Ho ammirato Ronaldinho, meno Neymar, avrebbe potuto fare molto di più”.
Chi è il fuoriclasse brasiliano di questi tempi?
“Vinicius, ma gli manca ancora qualcosa. Mi piace Endrick del Real Madrid”.
Ancelotti sarebbe la scelta giusta come ct del Brasile?
“No, no. Carlo è uno dei migliori allenatori al mondo, ma per guidare la Seleçao serve un brasiliano”.
Altafini, com’è la sua vita adesso?
“Bellissima. Vivo ad Alessandria, sto bene e lavoro ancora, lo sai? Sono testimonial di un’azienda che vende campi in erba sintetica. Faccio 100-200 km al giorno in macchina. Quando scendo, vedo che tutti mi guardano con gli occhi sgranati: alla tua età guidi ancora? Ma vaffa… Quando mi chiedono quanti anni ho, io rispondo: uno in più dell’anno scorso, tiè”.

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Fonte: Gazzetta dello Sport
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