Gazzetta – Esattamente cinquant’anni fa, Altafini, “Core ‘ngrato” regalò lo scudetto alla Juve

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Oggi sono esattamente cinquant’anni dal gol che segnò Josè Altafini “Core ‘ngrato”, regalando lo scudetto alla Juventus, come racconta La Gazzetta dello Sport. “Cinquant’anni fa era il tempo di Core ‘Ngrato, altro che cuoricini. Questa è una storia che ne contiene tante altre e tutte rimandano a tradimenti, ferite da curare, livori da consumare e amori sfilati per un gol, che il modo ancora li offende, i tifosi. Quando nel calcio entra in gioco il cuore, allora la partita si snoda nel perimetro dei sentimenti, in quella mappa di passioni che non ha traguardi, ma viaggi da fare insieme, perché molte cose nella vita ci rapiscono, ma più di tutte il cuore. E allora questa, prima di ogni altra cosa, è una storia di cuori infranti che ancora oggi – a cinquant’anni di distanza – reclamano la loro verità.

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José Altafini da Piracicaba ha avuto tanti soprannomi. “Mazola” con una zeta sola, per la somiglianza con Valentino Mazzola quando ancora era un giovane di belle speranze in Brasile. Poi “Coniglio”, perché si diceva avesse paura dei difensori e tendesse a nascondersi tra le pieghe della partita – ma Gianni Brera lo trasformò in “Conileone” proprio per sottolineare la doppia faccia del suo carattere. Infine “Core ‘ngrato”, dal titolo di una canzone napoletana dedicata all’amore non corrisposto. Ciò accadde per un gol segnato – da juventino – al Napoli, la sua ex squadra. E fu un gol che tolse lo scudetto ai partenopei, glielo sfilò da sotto il naso proprio quando – per la prima volta nella sua storia – il sogno sembrava possibile. Era il 6 aprile del 1975 e se questo fosse un film distopico, qualcosa di simile alla saga di “Ritorno al futuro”, qualche anno fa, quando ancora svolgeva il lavoro di seconda voce nelle telecronache, il grande José avrebbe certamente esclamato “Incredibile amisci”, poiché incredibile quello che successe lo fu veramente.
Quel giorno ho creduto sul serio che il Napoli potesse vincere il suo primo scudetto
Anni dopo l’allenatore di quel Napoli, Luis Vinicio, riannodando il filo dei destini di quella domenica, disse che: “Quel giorno ho creduto sul serio che il Napoli potesse vincere il suo primo scudetto, poi è successo quello che è successo”. Era successo questo. Al Comunale di Torino si giocava Juventus-Napoli. Si trattava di un bivio decisivo nella corsa scudetto. Era la 10ª giornata di ritorno, da lì in poi – quella era la Serie A a sedici squadre e le vittorie valevano 2 punti – si sarebbero disputati altri cinque turni. La classifica così recitava: Juventus 34 punti, Napoli 32, Lazio e Roma. La domenica precedente la Juventus aveva perso il derby di Torino, a due minuti dalla fine era risultato decisivo un gol di Zaccarelli. Il Napoli invece aveva liquidato in casa il Milan. 2-0, rigore di Clerici e autogol del rossonero Turone. Spinto da un’entusiasmo motivato da una stagione giocata a livelli di eccellenza, ben 25.000 tifosi napoletani salirono a Torino con voli charter, corriere, automobili. Il Napoli chiese la “diretta” televisiva per la sola Campania, ma i tempi non erano ancora maturi: la Lega rimpallò la richiesta.
Gli occhi di tutti, al Comunale, erano puntati su José Altafini, il centravanti della Juventus. Nel 1965 – sette anni prima – José era passato dal Milan, dove aveva conquistato fama di fuoriclasse e aveva vinto la Coppa dei Campioni del 1963 decidendo la finale di Wembley con il Benfica di Eusebio con una doppietta in contropiede, al Napoli per 280 milioni di lire. Aveva 27 anni e il trasferimento aveva fatto scandalo perché il centravanti si era fatto assistere da uno zio, Angelo Mascheroni, che aveva trattato l’ingaggio direttamente con i dirigenti partenopei. Con la maglia del Napoli Altafini aveva dunque giocato sette stagioni, segnando 71 gol in campionato, 16 nelle coppe europee e 11 in Coppa Italia; duettando negli anni felici con Sivori, Canè, Sormani e Hamrin. Alla veneranda età di 37 anni, Altafini aveva firmato per la Juventus. Il tecnico Parola gli preferiva i due giovani attaccanti, Anastasi e Bettega, supportati dalla guizzante ala “Flipper” Damiani, e lo utilizzava part-time, venendone ampiamente ripagato. Nel corso di quel campionato 1974-75, Altafini aveva già messo a referto due doppiette – contro Ascoli e Sampdoria – e aveva segnato anche un gol al San Paolo nell’incredibile partita del girone di andata che aveva visto la Juve travolgere – letteralmente – il malcapitato Napoli per 6-2.
Quando, quella domenica 6 aprile di cinquant’anni fa, a soli due minuti dalla fine di Juventus-Napoli – dopo il vantaggio del “Barone” Causio e il pari di Totonno Juliano – Altafini, che era entrato in campo al 30° della ripresa al posto di Damiani, segnò il gol che tolse lo scudetto al Napoli, ebbene, in quel preciso momento non sapeva ancora che si sarebbe meritato – diciamo così – uno degli appellativi più longevi della storia del nostro calcio, quello appunto di “Core ‘ngrato”. Nell’azione decisiva l’ingrato Altafini – almeno così visto dalla prospettiva napoletana – aveva avuto un atteggiamento sornione, da grande attaccante quale era, ed era stato poi abilissimo a piazzare la zampata che equivaleva ad una sentenza. Fu grazie a lui che la Juventus mise in cassaforte lo scudetto numero 16 della sua storia. Quell’anno – beffa delle beffe – Altafini scrisse anche un manuale destinato ai ragazzi: “Come si gioca a calcio”. Tra i molti consigli tecnici, vi è questo passaggio: “Secondo me il gioco del calcio è essenzialmente uno spettacolo e deve divertire non solo gli spettatori ma gli stessi giocatori che lo praticano”. José si divertì parecchio, quella domenica. Meno il Napoli, molto meno. Piansero lacrime amare i tifosi partenopei, che fecero la strada del ritorno a casa con il rimpianto di aver perso lo scudetto, l’amarezza dovuta al fatto che a sfilarglielo fosse stato un calciatore – per l’appunto José “Core ‘ngrato” Altafini – che molto avevano amato e infine la cognizione di un dolore che non si sarebbe esaurito in pochi giorni, ma che sarebbe durato a lungo: dieci, trenta, cinquanta e millanta anni dopo”.
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