Ricordi, emozioni, la gioia e l’oblio di Diego: parla Carmando

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“Mi chiami Cavaliere”. Il Cavaliere Salvatore Carmando ride con quel sorriso contagioso che ti riserva un pieno d’energia: 81 anni, due figli (“splendidi”), due nipotine (“meravigliose”) e quella mascella volitiva che sembra uno scrigno o un caveau o una teca, ecco una teca in cui ci sono le memorie d’un vissuto custodendo tutto, gelosamente. L’intervista a La Gazzetta dello Sport. “Lo spogliatoio per me è sacro”. Le mani per Diego hanno rappresentato un tempo infinito e prezioso, il sentimento insopprimibile e fedele tra uomini fatti per fondersi nell’amicizia più carezzevole. E però, girellando nei suoi quarant’anni, Carmando aggiunge altro: lui e il Papa, eh sì, lui e Gigi Riva, lui e Troisi, lui e Napoli, lui e l’Italia, lui in un pallone da tenere dolcemente abbracciato come se dovesse coccolarselo.
Nella vita di Salvatore Carmando c’è tanto Maradona.
“Non solo Napoli, ma anche due Mondiali, quelli del Messico e quello americano, il momento più alto della sua felicità e quello del dramma personale”.
L’estate dell’86, anche lei diventa campione del Mondo.
“Diego si presenta in primavera negli spogliatoi di Soccavo, era un periodo in cui combatteva con una caviglia che gli si gonfiava come una noce di cocco, e mi fa: Salvatore, tu sarai con me! Dissi solo: e certo… Mi ritrovai tra milioni di persone a Buenos Aires, al rientro da Città del Messico, dopo le più grandi prodezze che la storia del calcio ricordi”.

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Qualche mese dopo, è in Nazionale.
“Il ct era Vicini, uomo di eleganza che mi volle con sé. Rimasi sino al ‘91, vissi l’amarezza – grossa – di Italia ‘90. Meritavamo noi, per quel che si era visto. E uscimmo al San Paolo, all’epoca si chiamava così, proprio contro Diego”.
Prima della gara, vi incrociaste nel sottopassaggio. “Ci abbracciammo e poi lui mi fa: vincete voi”.

L’Italia è stata un bel viaggio.
“Sapevo quanto mi volessero bene quelli del Napoli a Italia ‘90 – Ciro Ferrara, Nando De Napoli, Andrea Carnevale – ma scoprii pure il legame con Zenga, con lo zio Bergomi, con Ferri, con Paolo Maldini, con Giannini, con chiunque onestamente. Ma soprattutto poi con Gigi Riva”.
Che aveva trovato il modo per svegliarla.
“Alle sei del mattino bussava alla mia porta, sapendo che io avevo sempre con me la Moka. Caffé e immancabile Marlboro rossa. Un mito, di una gentilezza che ti confondeva. Lo dico sempre a suo figlio Nicola, mi manca”.
A Usa ‘94 c’è l’oblio del Pibe.
“Ho tutto davanti agli occhi: l’infermiera che viene a prenderlo dopo la partita con la Nigeria, le analisi, la sentenza di positività, lui chiuso in una stanza: “Non voglio vedere nessuno, fate venire Salvatore”. Entro, sta piangendo come un bambino e mentre mi guarda si sfoga: “Mi hanno tradito”. Io ero stordito, lui distrutto”.
Non vi siete mai seriamente lasciati.
“Il 29 ottobre del 2020, come sempre, mi chiama da Buenos Aires per farmi gli auguri, mi sommerge di sfottò in napoletano. Ha una voce squillante. Il 30, come si sa, è il suo compleanno, e il rito si ripete all’incontrario: chiamo io, gli dico di tutto, gli dò del vecchio. Niente che lasciasse sospettare d’essere all’ultima telefonata. E, come emerso dalle analisi, non era né ubriaco e né drogato”.
Non è mai stato al Murales ai Quartieri.
“Non ce l’ho fatta ma ce la farò. Io certe emozioni cerco di sfuggirle, ma questa devo concedermela. Ne hanno regalato uno anche a me, ovviamente c’è Diego che mi bacia”.
Nel suo smartphone c’è la foto con il Papa.
“Un attimo di intensità fortissima. Mi sussurrò una cosa tenerissima su Diego”.
Quasi 40 anni di Napoli.
“Dalla Primavera, e dalla vittoria del Viareggio, ai due scudetti, alle Coppe, al settennato indimenticabile con il calciatore più forte che sia mai esistito e in una squadra per certi versi irripetibile. Poi il declino, la serie C, la rinascita con De Laurentiis, il ritorno in serie A e pure in Europa. Sono pensionato da quindici anni, ricordi ne ho”.
Ora si può dire: stava per andare a Torino, in bianconero.
“Fu nel ‘94, Lippi era passato dal Napoli alla Juventus, con lui anche Ciro Ferrara. Il mister mi invita a pensarci e io un po’ lo faccio, la situazione societaria stava peggiorando pericolosamente, e però, dopo un po’ di giorni sentii che non potevo andarmene. Chiamai Lippi e spiegai, capì ovviamente. Altro personaggio enorme, lui come Bianchi, come Vinicio, come tutti quelli con i quali ho avuto l’onore di poter collaborare”.
A proposito, e della monetina di Bergamo ne parliamo?
“Ancora? Ho detto ripetutamente e cosa ci posso fare se c’è ancora chi vuol fare dietrologia?”.
Poteva fare l’attore.
“Alla festa per il primo scudetto del Napoli, tra i tanti invitati c’è anche Massimo Troisi: finisce chiaramente in gag, ci divertiamo da matti, io sparo battute a raffica, sono in vena, diventa cabaret, ci ritroviamo in circolo a fare baccano. Arriva Ferlaino e Massimo con quella sua vocina inequivocabile va dritto: presidè, questo lo porto con me a recitare”.

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