Massimo Ranieri – L’intervista “IL MATTINO”: «Antonio, miettece ‘a mano tu. Sono un anguissiano!»

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Il primo ricordo del Napoli. «Una partita persa contro la Juve. Zero a quattro, tre gol di Charles e uno di Sivori. Ero in curva con mio zio». Massimo Ranieri ha l’azzurro nel cuore.

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Trentamila tifosi del Napoli quasi mezzo secolo fa, era dicembre ‘75, cantarono una delle più belle canzoni interpretate dall’artista, ‘O surdato ‘nnammurato, dopo la vittoria in casa della Lazio. Il ritornello ‘Oj vita ‘oj vita mia diventò l’inno della squadra. «Ed è straordinario come in uno stadio la cantino tutti insieme intonatissimi».

Domenica scorsa al Maradona nelle curve hanno esposto il titolo di un’altra celebre canzone per caricare il Napoli: Anema e Core.
«Credo che non vi sia in nessun altro posto un rapporto tra la città e la squadra così forte, sanguigno, accorato. L’ho testato negli anni più duri, quelli della serie B e perfino della serie C: c’era questa unica realtà che ci legava, ci distraeva e faceva sorridere. E questo perché nella vita di tutti i giorni a noi napoletani venivano lasciate sempre le briciole. Dunque, i successi che il Napoli conquistava sul campo attraverso i suoi campioni, da Sivori e Maradona a quelli recenti, rappresentavano un riscatto sociale. Il Napoli è il nostro orgoglio, ecco perché c’è questa connessione con il territorio».

Lei è rimasto conquistato da Conte. Dal Festival di Sanremo, prima di una partita, gli lanciò un messaggio: «Antonio, miettece ‘a mano tu».
«Mi piace molto. Vorrei conoscerlo e ringraziarlo non solo per i risultati ma anche per il suo forte senso del dovere e del lavoro. Non a caso, quando è arrivato a Napoli, ha lanciato lo slogan Amma fatica’. Leggo che ha un contratto per tre anni però mi auguro che resti per dieci e anche oltre: che sia ciò che Ferguson è stato per il Manchester United, allenatore a vita di un club. E questo non soltanto per le vittorie del Napoli».

E per cosa altro?
«Perché è leccese, dunque uomo del profondo Sud, e conosce bene i nostri problemi, le nostre aspirazioni, i nostri sogni. Sa cosa scorre nelle nostre vene, anche se il sangue è talvolta avvelenato da ciò che ci scaricano addosso. Lui ha cercato subito l’intesa con la città proprio perché sa quanto la passione popolare possa aiutare la squadra. Napoli è un serbatoio di vera energia, una risorsa da sfruttare. Posso fare un esempio?».

Prego.
«Un calciatore potrebbe essere stato male nella notte per una cattiva digestione ma andando in campo e avvertendo la spinta del tifo potrebbe avere perfino i sassi sullo stomaco: correrebbe sempre al massimo. Non mi sorprende che quasi per ogni partita ci sia il tutto esaurito allo stadio. Piace a me e a tutti l’attaccamento di Conte e del suo gruppo alla maglia, che è un simbolo per la tifoseria: perché, non è un modo di dire, i calciatori, anche forti, passano e invece resta quella maglia come bandiera».

A dieci giornate un punto di distacco dal primo posto: parliamo del quarto scudetto?
«No, piedi per terra. Con la consapevolezza che è stata ormai raggiunta la Coppa dei Campioni, voglio chiamarla ancora così. E ne siamo felici. Può sembrare che il nostro calendario sia comodo rispetto a Inter e Atalanta ma niente c’è di comodo. Conte ha realizzato qualcosa di grande. Un anno fa tutti ci chiedevamo come fosse stato possibile passare dallo scudetto a una posizione di metà classifica. È arrivato lui e ha rimesso insieme i cocci. Straordinario».

Straordinari anche la canzone e il calcio a Napoli.
«Napoli è cultura, conoscenza, storia. Qui è sorta una delle prime università, qui si cantano ancora le canzoni del Seicento. Io non vivo più a Napoli ma avverto sempre più forte l’orgoglio di essere napoletano: torno qui presto in teatro, mi godrò la famiglia, dai fratelli ai pronipoti. Abbiamo visto vera arte calcistica allo stadio, tra giocatori del Napoli come Diego e Krol e avversari come Platini. Gente che non dava un calcio a un pallone, come canto io, ma usava anzitutto la testa. Mi annoio a vedere quasi tutto il calcio italiano oggi, c’è stata una caduta di stile. Poi vedo la Premier League…».

E il Napoli di Conte quali sensazioni trasmette?
«Emozione pura. Quest’uomo è entrato sempre più nel cuore della città come nei muscoli e nella testa della squadra. I calciatori hanno capito che lui è il maestro, come a scuola: va rispettato e seguito per imparare».

Il calciatore preferito?
«Sono anguissiano, tifo per questo ragazzo che non tocca il terreno di gioco: Anguissa sta sempre un centimetro più su e fa numeri straordinari».

Fonte: Il Mattino

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