«Il primo posto, la personalità, il modo con cui il Napoli gioca: quello di Conte è un vero capolavoro. Domenica, dopo il 3-0 con la Fiorentina l’ho chiamato per dirgli: sei uno dei più bravi di tutti»
Arrigo Sacchi, il profeta di Fusignano, parla come uno che si trova al cospetto di una grande impresa magica. Anche se la stagione è solo a metà. «Non è semplice arrivare e riuscire a mettere tutte le cose a posto così velocemente. Lui è uno dei pochi capace ogni giorno di migliorare se stesso, gli altri e la società per cui lavora».
Sacchi, è diventato anche lei un contiano?«Non si può rimanere che colpiti dal modo con cui questo Napoli ha vinto a Firenze ed è arrivato fino in cima al campionato. Ci sono divertimento ed emozioni. Il nostro calcio è sempre stato travolto dall’ignoranza: tutti hanno sempre creduto che sia un gioco individuale e difensivista. Ma non è così: è sport di squadra e offensivo. Si gioca in undici non a caso. E quando vedi le partite di Antonio ti accorgi che tutti quegli undici, attaccano, difendono, aggrediscono, si aiutano, ragionano, hanno delle idee. C’è maestria in questo. E infatti gli ho telefonato per dirmi: “sei stato stupendo”».
Immagino abbia apprezzato?«Ma siamo amici da anni, non a caso con Pep Guardiola e Carletto Ancelotti ci sentiamo spesso. Lo stimo da sempre, nel blocco del Milan del Mondiale in Usa nel 1994, portai solo due della Juventus: Roberto Baggio e lui. Ha fatto del metodo, dell’applicazione, del lavoro le basi del suo successo. Antonio era affidabile e intelligente, una garanzia per chi lo allenava. E lui vuole calciatori così, come era lui. In questo ricorda me».
Colpisce questo suo accostamento.«Non credo di essere mai andato al cinema quando ero allenatore, forse solo per vedere un film di Tinto Brass. Mi sembrava di rubare del tempo prezioso alle cose importanti. Io davo la vita per le mie squadre e Antonio fa lo stesso per le sue».
Nessuno si aspettava che in cinque mesi riportasse in alto il Napoli.«Si stupisce solo chi non lo conosce. Lui ha costruito una squadra vincente con giocatori che ha scelto uno per uno, come facevo io al Milan. Ai miei tempi, prima di prendere un calciatore, lo facevo seguire per una ventina di giorni. E volevo sapere di lui come si comportava con i compagni e con l’allenatore, l’atteggiamento che aveva con i tifosi. Era qualcosa di fondamentale per me: se nella mia orchestra avevo bisogno di un batterista, non mi potevano certo portare un violinista. Anche se il migliore di tutti».
De Laurentiis sta avendo anche un ruolo centrale in questa ripartenza?«Beh, il vero pericolo resta sempre lui. I presidenti devono parlare poco, ma quando lo fanno devono essere spietati, decisivi, devono mettere tutti con le spalle al muro. Io avevo al mio fianco un fenomeno come Silvio Berlusconi. Una volta, quando le cose non andavano bene, arrivò in elicottero a Milanello e ci convocò tutti nel suo studio. Fece un discorso lungo 17 secondi: “io ho totale fiducia in Arrigo, chi lo segue resta, chi non lo segue se ne potrà andare”. Peccato che De Laurentiis non abbia difeso così anche Carletto».
Già, Napoli resta una delle sue ferite più brucianti per Ancelotti?«Se me lo avesse chiesto, gli avrei detto: “non andare al Napoli dopo Maurizio Sarri, fai un errore”. Ma non me lo chiese. Per stare con lui bisogna avere pazienza, poi Carlo ripaga di tutto. Anche a Madrid con Florentino Perez sta resistendo bene, solo lui può riuscirci con un personaggio così difficile. Anche perché al suo fianco c’è Davide, il figlio che è già il suo erede».
Che forza bisogna avere per allenare un gruppo di campioni?«Una volta venne vicino a me uno che era, senza dubbio, superiore agli altri. Mi disse: “perché mi tratta come tutti?”. Perché sei intelligente e non posso quindi trattarti in maniera differente».
Conte può vincere lo scudetto?«Io l’ho vinto al primo anno di Milan. Lui al primo con la Juventus. Antonio sa come si fa ma non è semplice. Per tante cose. Però la strada è quella: senza merito non c’è mai la vittoria. Il suo Napoli cerca sempre di vincere con merito, in un Paese vigliacco, dove tutti per arrivare al successo usano dei tranelli, provano a truffarti».
Thiago Motta alla Juventus la sta deludendo?«Piano. Ha trovato una squadra che da tempo non giocava a calcio. Non è un’accusa ad Allegri, sono fatti suoi come pensa di far giocare le sue squadre: ma per me il calcio è altra cosa. E diciamo che i bianconeri giocavano in modo diverso rispetto a quello che vuole adesso Thiago. Da qui le difficoltà».
In che condizioni è il nostro calcio?«Vedo una ventata di entusiasmo: Gasperini, con pochi soldi, ha costruito un bel giocattolo. Lo fa ogni anno, quindi non è più un miracolo. C’è impegno, fatica, competenza e sacrificio. Baroni, alla Lazio, tranne l’altra sera con la Roma, mostra sempre un calcio propositivo. L’Inter può persino lottare per la Champions. Quest’anno il campionato è molto particolare, avvincente, combattuto. Tutte le squadre, quelle di vertice e anche quelle che stanno in fondo alla classifica, cercano di proporre il loro stile, puntano sulle loro qualità senza aggrapparsi al solito “difesa-contropiede”. È un bel segnale per tutti noi: si gioca in 11 e non esistono solo i solisti».
Beh, tranne se non si chiamano Maradona?«Un discorso a parte. Mi voleva al Napoli. Tre volte mi tentò. “Venga ad allenarci, noi giochiamo in 13 non in 11… perché ci siamo io, Careca che valiamo il doppio”. Era straordinario. Poi come lui sono sicuro di aver perso un Mondiale per ragioni non solo calcistiche…».
Ha ancora la finale di Pasadena in testa?«Non se ne va via il senso di ingiustizia che ha subito la nostra Nazionale. Sono sicuro che nessuno voleva far trionfare l’Italia di Sacchi perché per tutti sarebbe stato un altro trionfo di Berlusconi che era pronto a buttarsi in politica. E allora ci dirottarono a New York nella prima fase del Mondiale, con 41 gradi e cento per cento di umidità. Arrivammo spossati, senza forze… Ma dal Brasile mi avevano avvertito: “vi fate fregare ad andare nella costa orientale, strano che riescano a farlo con voi italiani”. Ecco, io non ho mai avuto rabbia per i rigori sbagliati da Baresi e Baggio, ma per chi ci doveva tutelare e non lo fece sì».
Il presidente della Figc di allora, Matarrese, cosa le disse?«Mai detto la verità. In ogni caso ero talmente arrabbiato che in piena notte ricevetti la telefonata dell’allora presidente della Repubblica (Scalfaro, ndr) che voleva farmi gli auguri… e io risposi seccato “guardi che qui sono le 3 di notte e io tra poco devo fare allenamento”».
Conte come si comportava in quel Mondiale?«Prendeva appunti. Sempre. Su ogni cosa. Finivano gli allenamenti e si metteva a scrivere. Gli chiesi che faceva e lui mi spiegò che segnava i tipi di allenamenti che avevamo svolto. In questo, molto simile ad Ancelotti. D’altronde, quando la Juventus doveva scegliere da chi ripartire, nel 2011, io dissi a Marotta che l’ideale sarebbe stato proprio lui. Eravamo a cena con Carnevali, il direttore generale del Sassuolo».
Sorpreso dal fatto che Sarri non alleni in questo momento?«Ormai è quasi un anno e resto allibito. Lo considero un maestro, il suo Napoli è stata una meraviglia di rara bellezza e che tutti ricorderanno per anni. Come lo è stato, a dirla tutta, anche il Napoli di Spalletti che poi ha vinto lo scudetto. Spero che Maurizio torni presto a mostrare cosa significa mettere al centro di ogni cosa il gioco. Prima ancora del risultato».
Tratto da Il Mattino