Tra i segreti della felicità, c’è l’arte di saper riempire di significati le cose apparentemente insignificanti. Come questo turno di Coppa Italia di fine settembre. Di questi tempi, il Maradona si riempiva, certo, come stasera ma per le sfide al Real Madrid, al Bayern, al Borussia Dortmund e al Liverpool. Non certo, con tutto il rispetto, per il Palermo.
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Tempi magri. Conte, pur pronto a lanciare in campo il Napoli-2, lasciando in panchina dieci titolari su undici rispetto alla gara con la Juventus, è pronto a riempire di significati la gara con i siciliani: il ritorno di Raspadori e Simeone, il collaudo di Gilmour e Rafa Marin, la riscoperta del gioiellino (dicono) Ngonge, oggetto del mistero da gennaio, l’esordio dall’inizio della stellina Neres.
Poi, nonostante l’obbligo di fare esperimenti, per capire su chi fare affidamento in campionato, deve anche vincere e volare agli ottavi. Dove c’è la sfida alla Lazio che aspetta gli azzurri. Quello che Conte si aspetta è di poter ammirare un ammirevole cannibalismo di una squadra che, al di là degli interpreti, pretende stia costruendo per vincere sempre.
Dicevamo, gli esperimenti. Forse troppi. Ma ci sta, di questi tempi: il collaudo di una coppia centrale nuova di zecca, provata solo in pieno ritiro e con Juan Jesus che da tempo non è che sia particolarmente affidabile. Ma Rafa Marin, promessa della cantera del Real Madrid, deve essere testato prima o poi. Conte si aspetta entusiasmo da Mazzocchi, il sacrificato delle rivoluzione tattica di settembre. E non vuole musi lunghi da Spinazzola, in una fase dove Olivera sembra dargli maggiore garanzie.
È un Napoli «sperimentale» che, però, sia chiaro, non può permettersi di rimediare figuracce.
Le due più grandi città del Sud non s’incrociano dal 29 gennaio del 2017. Oscillando tra storia e geografia, Napoli e Palermo, stasera in campo alle ore 21, raccontano di quel calcio meridionale che ha vinto appena tre scudetti (e tutti con il Napoli), da quando si cominciò nel 1898 (Genoa). Scesi dalla cresta dell’onda per il pari con la Juve, gli azzurri di Conte puntano un passaggio del turno che se non dovesse arrivare, porterebbe dentro di sé un bel po’ di problemi. Si legge su Il Mattino.
La storia recente del Napoli in Coppa Italia raccomanda attenzione: nelle ultime tre edizioni è sempre uscito in casa (e al primo turno) facendo beneficenza a Fiorentina, Cremonese e Frosinone. Ora Conte fa esattamente quello che hanno fatto tutti i suoi predecessori: un turnover massiccio. E, forse, persino esagerato. Ma queste sono le indicazioni dal bunker di Castel Volturno dove, a parte Lobotka, rispetto a quelli del campionato, Conte si prepara a mandare sul terreno di gioco praticamente tutte le riserve. Confermando il cambio di sistema di gioco, con l’abiura (momentanea) al 3-4-2-1.
L’esercizio di turnover, in Coppa Italia, sembra la regola delle regole. Eppure anche la coppetta nazionale (almeno fino a quando non si arriva ai quarti) è un’ottima palestra per allenare l’abitudine a vincere. Antonio Conte deve rimettere in moto la dimestichezza del Napoli con le vittorie, dopo un anno amarissimo. E poiché non ha altri impegni infrasettimanali, deve per forza aggredire il trofeo. Per squadre rampanti come il Napoli, la Coppa Italia può essere il primo passo verso un futuro più importante.
Per questo non può e non deve snobbarla.
Il fatto che l’affronti col turnover lascia un po’ perplessi, ma non è detto che lo spettacolo ci perda. Anzi. La Coppa Italia può essere il primo banco di prova per gli ultimi acquisti come Gilmour, Neres e Marin, oltre Spinazzola: ingredienti inediti e quindi stuzzichevoli. Intanto McTominay, dopo l’esordio con la Juventus racconta: «Il mio sogno è vincere lo scudetto con il Napoli, vincere trofei e avere successo qui dove ci sono dei tifosi meravigliosi. Impossibile dire di no a Conte, ho avuto il fuoco dentro quando mi ha detto che mi voleva al Napoli».