La scelta: Nike Tn Napoli, la prima città italiana

Città-palcoscenico per antonomasia, l'antica Partenope s'è scoperta centrale nella costruzione dell'immaginario italiano

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Dal Grand tour al social tour, da Goethe a TikTok, da «’O sole mio» a «I’ p’me tu p’te». Se il brand Napoli tira, è merito di una narrazione multimediale, crossmediale, digitale che ha, in pochi anni, capovolto lo status quo.

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La città perduta, tutta Gomorra e spazzatura, è diventata il posto dove essere, da vedere, dove mangiare, da raccontare, dove esibirsi, da mettere in scena.

 

Da mettere persino ai piedi, grazie alle nuove Nike Tn Napoli: appena arrivate in vendita a 199 euro, sono azzurre, lacci neri, suola in gomma, inserti bianchi e gialli, grafica ispirata alla stazione della metropolitana Toledo, sul tallone una citazione di Goethe, ma tradotto in stile Geolier: «Vir Napule e po’ muor». Solo alle francesi Marsiglia e Saint Denis, l’inglese Brixton e la tedesca Berlino la casa di Beaverton, Oregon, ha finora riservato un simile onore (e business), sottolineato da citazioni del tradizionale cornetto rosso portafortuna e del colore giallorosso dello stemma cittadino. Per lanciarla, la Nike si è affidata a dei testimonial giovanili mandati in giro nelle stradine più frequentate d’Italia, quelle dei Quartieri Spagnoli: J Lord, rapper nato in Ghana e cresciuto a Casoria, Andrea Cannavaro, figlio del campione del mondo Fabio; Nicola Longobardi di Foot Locker Napoli; il capo ultras Antonio Bostik Esposito; la stylist Ramona Tabita. Inutile dire che le scarpe sono già introvabili e che i collezionisti le pagheranno prezzi stratosferici.

 

Il brand Napoli

 

Se non è una scarpa a segnare il successo del brand Napoli, l’operazione di marketing segnala quanto sia cresciuto l’hype, l’interesse, intorno al marchio, un tempo svalutato assai, della città.

Città-palcoscenico per antonomasia, non c’è bisogno di rispolverare l’antica canzone cesellata dal maestro Sergio Bruni, ma anche a lungo dimenticata periferia culturale, sia pur con un rimpianto per stagioni più gloriose, per i «belle tiempe e na vota» che forse così belli non sono mai stati, l’antica Partenope si è scoperta negli ultimi anni centrale nella costruzione dell’immaginario italiano.

Con i suoi scrittori destinati al piccolo e grande schermo: Maurizio de Giovanni, Elena Ferrante, Lorenzo Marone, Diego De Silva... Con le sue icone che non appassiscono, anzi rifioriscono come murales colorando vicoli e periferie, bassi e grattacieli: Totò, Sophia Loren, Eduardo De Filippo si danno ormai la mano con Massimo Troisi, Pino Daniele, Geolier, oltre che con l’arcinapoletano Diego Armando Maradona.

 

L’identità Napoli

 

Anche lo stadio che fu intitolato a San Paolo ed ora porta il nome del laicissimo D10S è un segno di quell’identità vincente che caratterizza il successo del marchio Napoli. La Rai che ha appena fatto il bis della scelta di presentare al centro di produzione di Fuorigrotta i suoi prossimi palinsesti lo sa. Ma lo sa anche Sky, quando decide che la finale della nuova edizione di «X Factor» avrà per cornice non più uno studio, un teatro, un palacoso, ma piazza del Plebiscito, reduce da una stagione straordinari di concerti, proprio come il suddetto stadio. Napoli aggiunge un quid alle due operazioni, non è semplice sfondo materiale, moltiplica l’impatto emotivo, le possibilità narrative, porta colore dove non c’è, figurarsi dove già c’è.

Paolo Sorrentino che porta sullo schermo la sua «Parthenope» risponde l’attesa serie tv dedicata alla «Costiera» amalfitana, in un mix di arte e commercio, di autorialità e serialità, di creatività e nuova oleografia. Già, perché il rischio è che al vecchio stereotipo dell’arte dell’arrangiarsi si sostituisca quello del napoletano che vende la sua napoletanità. Ma, nel San Carlo e nel Mercadante, in Mimmo Borrelli e nell’Eduardo che non tramonta mai e che al cinema come in tv può trovare nuove declinazioni, che se ne racconti la vita o se ne rileggano le commedie, stanno gli anticorpi di un fenomeno che rischierà pure l’overtourism e la gentrificazione, ma che porta soldi e lavoro in una città che ha conosciuto ben altri saccheggi.

 

Il brand Napoli, oltre a maestri del calibro di Riccardo Muti e Roberto De Simone, a un infinito rosario di registi, attori, cantanti, artisti… ha un vantaggio, poi, innegabile: la sua lingua. Con Geolier che spopola da Sanremo alla «Notte della taranta», dagli stadi sold out alle cartolerie che vendono il necessario per la prossima stagione scolastica, il napoletano, rivisto e corretto, vabbè scorretto per i puristi, è tornato ad essere lingua della canzone. Tutti, da Madame a Marco Mengoni, da Elodie ad Annalisa, da Elisa a Stanley Tucci, sembrano conquistati da una lingua che sino a qualche anno fa veniva sottotitolata in tv ed ora dilaga in ogni serata musicale, in ogni spettacolo televisivo, in ogni serie e film.

Brand per brand, dopo la Nike ecco la Red Bull, che tornerà per il terzo anno consecutivo a Scampia, il 24 ottobre, con la sua serata «64 bars live», quasi a confermare come l’hip hop, genere dominante nel mondo, debba a Napoli, e alle Vele, la costruzione del suo immaginario culturale: il tutto proprio nell’anno del ritorno dei Co’Sang (il 17 e 18 in piazza del Plebiscito, ma già nei negozi con l’album «Dinastia»), con la loro poesia cruda.

 

La città-palcoscenico, intanto, è diventata città-set a cielo aperto, The Jackal hanno appena battuto il ciak di «Pesci piccoli 2», in attesa di «Portobello», serie Rai sul caso di Enzo Tortora che Marco Bellocchio girerà anche a Napoli, di «Champagne», biopic televisivo su Peppino Di Capri che Cinzia TH Torrini girerà nel prossimo autunno, di «Roberta Mente notaio in Sorrento» che Vincenzo Pirrotta ha deciso di ambientare in costiera. Già, perché il brand Napoli non ha solo il vantaggio della lingua, ma anche quello di essere un marchio allargato, a Capri, a Pompei, a Ischia, a Caserta, a Ercolano, a Procida, ad Amalfi, Sorrento, Ravello, Positano, il Cilento… Un tempo chi veniva a vederle passava di sfuggita, e sfuggendo, da Napoli. Oggi il capoluogo di regione è la principale attrattiva del brand Campania.

 

Fonte: Il Mattino

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