Intervista – L’ex Demme: “Ecco cosa mi manca di Napoli e del Napoli! Non ho mai capito la mia esclusione”
Demme, Napoli, scudetto e tonfo: «Fatto fuori, ma che gioia vincere»
L’intoccabile che diventò improvvisamente riserva di lusso.
«Il destino. Mi feci male in una assurda amichevole a Dimaro e subito dopo Lobotka è esploso. E per me è diventato difficile riprendere quel posto da titolare». Diego Demme ora è rinato: non solo titolare all’Hertha Berlino ma anche capitano.
Che cosa le manca di Napoli?
«Alzarmi la mattina senza vedere il mare e il Vesuvio fa un certo effetto dopo tutti questi anni. Io ho sempre sentito quella città come casa mia, sono cresciuto nei racconti di mio padre di Napoli e del suo idolo, Maradona».
E del Napoli cosa le manca?
«Se penso all’ultimo anno, poco… E ammetto che è stato difficile accettare l’esclusione dalla rosa dopo la buona partita giocata con la Lazio. Fu il mio procuratore ad avvisarmi. Una brutta ferita, che ho sempre compreso poco. Ho provato rabbia, scontento. Anche perché per la squadra era un periodo difficile, avrei fatto di tutto per dare una mano a farla rialzare. Ma ho accettato senza fare polemiche, anche perché non mi pare di essere stato l’unico ad avere problemi all’ultimo anno di contratto».
Qui ha vinto scudetto e Coppa Italia.
«Sì, con Gattuso nei giorni dell’emergenza mondiale per il Covid. Quel trofeo ebbe un significato particolare per tutti, significava fare dei piccoli passi verso il ritorno alla normalità. E poi al ritorno trovammo migliaia di tifosi a farci festa, nonostante la paura degli assembramenti».
Lo scudetto non da protagonista, però.
«Gattuso è stato un grande motivatore e sotto il profilo tattico uno molto preparato. Ma anche con Spalletti io mi sono trovato benissimo, nonostante abbia giocato poco: era uno che anche alla fine di un allenamento, se aveva visto che non avevi reso al massimo, ti faceva la predica. Era capace di tirare fuori da tutti noi, il massimo, anche durante le partite a Castel Volturno. E il risultato si è visto».
Conte sta provando a girare pagina…
«Fa bene, non ha senso insistere. Quel ciclo è finito e lo abbiamo capito tutti già l’anno scorso. Anche sul modulo ha ragione, il 4-3-3 non deve essere una fissazione. Solo con Mazzarri abbiamo provato a fare delle cose differenti».
Le sarebbe piaciuto essere allenato da lui?
«E a chi non piacerebbe? Ha grinta, metodi di lavoro di alto livello, intensità di gioco».
Perché così rapidamente si è passati dalla gloria al tonfo?
«È la somma di tante cose: dopo la vittoria un po’ tutti hanno avuto problemi di vario genere, Garcia cercò di apportare subito dei cambiamenti anche piuttosto rapidamente. E poi ha pesato anche il cambio di preparazione atletica».
Ma con Lobotka siete amici?
«Certo, siamo arrivati praticamente insieme. Lui ha avuto subito dei problemi, poi io l’infortunio al ginocchio. Mi è sempre piaciuto come uomo e come calciatore e non mi sono mai sentito un suo rivale».
Ha mai chiesto spiegazione per la sua esclusione?
«Non avrebbe avuto senso. Hanno preso una decisione e io non potevo farci nulla. Se non aspettare il momento di tornare a giocare».
Con chi ha legato di più negli anni napoletani?
«Eravamo un gran gruppo di amici. Però con Petagna, Mertens e Fabian i contatti sono ancora molto frequenti».
Ha sentito qualcuno del Napoli di adesso?
«Jesus e Di Lorenzo. Ho visto alcuni momenti della gara con il Verona e mi è venuto in mente il Napoli dello scorso anno: tanto possesso palla ma poca consistenza davanti alla porta. Un peccato».
Osimhen andrà via.
«Non è una sorpresa. Devo ammettere che Victor è senza dubbio il più forte attaccante che ho visto giocare in Italia. Se ne parla dall’inverno scorso del suo addio: un po’ tutti hanno sentito che lui voleva una nuova avventura. Ma se davvero arriva Lukaku, il Napoli può fare grandi cose.
Ora è capitano all’Hertha Berlino. Ha compreso lo sfogo di Di Lorenzo?
«Sapevo che non sarebbe andato via, alla fine. Ma lo ha pensato, ferito per quei fischi dei tifosi che sentiva di non meritare».
Ha firmato per due anni con l’Hertha.
«Dovevo dimostrare che potevo ancora giocare bene dopo tutto questo tempo. Puntiamo alla promozione, c’è tanta concorrenza con grandi squadre come il Colonia, l’Hannover, l’Amburgo. Giochiamo nel glorioso Olympiastadion e ogni volta ci sono 60mila spettatori. In questo, molto simile alla passione del tifo napoletano».
Aveva ragione suo padre, ne è valsa la pena venire a Napoli?
«Lui è tifoso di Maradona, mi chiamo Diego in suo onore. Sono fiero che le mie figlie portino sui documenti che sono nate in questa meravigliosa città. Quando andranno in giro per il mondo e vedranno il passaporto, avranno motivo di essere orgogliose».
Fonte: Il Mattino