ESCLUSIVA – Carlo Verna: “Napoli, andare nelle Coppe sarebbe importante per ripartire bene. Atlanta ’96 il momento più complesso della mia carriera”
Carlo Verna, giornalista Rai e già presidente del consiglio dell’Ordine nazionale dei Giornalisti dal 2017 al 2021, ha rilasciato un’intervista esclusiva ai microfoni de Il Napoli Online toccando diversi temi, dal racconto di una lunga carriera che lo ha visto al seguito di numerosi eventi internazionali fino all’attualità dei giorni nostri rappresentata dal momento degli azzurri.
Iniziamo con un bilancio della tua lunga carriera. Non solo all’insegna del calcio, ma anche del nuoto con il racconto di diversi prestigiosi appuntamenti, Olimpiadi comprese. Qual è stato l’evento per te più significativo?
“Fra tutti gli eventi ai quali ho preso parte da inviato per Radio Rai scelgo senza dubbio l’Olimpiade di Sydney del 2000, dopo aver già seguito in precedenza Barcellona 1992 ed Atlanta 1996, quella in cui Jury Chechi conquistò la medaglia d’oro negli anelli. In Australia ho debuttato al racconto del nuoto succedendo al mio maestro Alfredo Provenzali che, tolte le cuffie del commento, era passato al bordo vasca. Per il nuoto, quell’Olimpiade rappresentò una svolta grazie alle performances degli azzurri Massimiliano Rosolino, Domenico Fioravanti e Davide Rummolo. In particolare, il primo giorno di gare Rosolino conquistò la medaglia d’oro nei 200 metri misti, completando il Grande Slam in seguito alle vittorie ottenute ai campionati europei di Helsinki 2000 e ai mondiali di Fukuoka 2001. A testimonianza di tutto ciò, basti ricordare che il nuoto italiano era fino a quel momento fermo ai successi di Novella Calligaris a Monaco di Baviera 1972. Durante le due settimane dei giochi olimpici australiani accadde di tutto e di più in un magnifico scenario. Sydney, insieme a San Francisco e Napoli, si gioca il primato di città più bella del mondo. Anche il racconto dei Mondiali di Germania 2006 fu per me significativo: insieme al collega Emanuele Dotto commentai Brasile-Francia, vinta dai transalpini. Seguii dal vivo la finale di Berlino insieme a mio fratello, mio cognato e mio figlio, che non vedevo da oltre un mese. Fu una grandissima emozione”.
Quello invece più complesso da affrontare?
“Atlanta 1996, manifestazione segnata dall’attacco al Centennial Olympic Park. Sentii un forte boato dalla camera d’albergo e decisi, allertati i colleghi, di recarmi al media center. In quel momento la CNN era già in onda con una breaking news dal titolo <<Bombing in the park>>, ma fu anticipata da Riccardo Cucchi ed Ezio Luzzi che avevano già dato la notizia durante il giornale radio. Sin da subito comunicammo che i morti fossero due, di cui uno non legato all’episodio perché colto da infarto, mentre gli americani si ostinarono a contarne soltanto uno. Fu una bella disputa”.
Il lavoro del giornalista nel corso dei decenni è ovviamente cambiato. Rispetto ai tuoi esordi, quali differenze riscontri maggiormente nella vita “redazionale”?
“Al giorno d’oggi c’è un cambio di tecnologie che non può non influire, la velocità è uno dei fattori da prendere maggiormente in considerazione. I principi di verifica e rispetto delle fonti ovviamente restano tali, ma con l’avvento degli smartphone gli strumenti di trasmissione si sono ridotti sensibilmente. Il giornalista è l’unico a poter certificare la notizia sulla base della propria professionalità. Nell’epoca della post-verità, le fake news sono più che mai in agguato, e per questo è importante saper orientarsi in un nuovo mondo che fornisce una valanga di dati non sempre facili da discernere: ritengo quindi che il giornalismo vada fatto sul posto dal momento che attraverso il web non vi sono certezze”.
Non è mancato il racconto delle gesta del Napoli, dai tempi di Maradona ai giorni nostri.
“Sì, ho avuto la fortuna – unico giornalista Rai – di raccontare tutti e tre gli scudetti della storia azzurra, i primi due al fianco di autentici maestri quali Italo Khune ed Enrico Ameri. Questi momenti sono stati anche utili per imparare a prendere le adeguate distanze fra la passione e l’oggettività in quel che si racconta”.
Veniamo dunque all’attualità. Come giudichi la stagione del club azzurro ed in che misura bisognerà ripartire il prossimo anno?
“La stagione è ovviamente deludente, ma le prossime sei gare saranno a mio avviso importanti per il futuro del Napoli. Gli errori della società e del presidente De Laurentiis sono sotto gli occhi di tutti, dalla cessione di Kim il cui rendimento ha permesso una stabilità difensiva mai vista in precedenza all’aver delegittimato totalmente i meriti di figure-chiave della scorsa annata, fra cui Spalletti, Giuntoli ed il preparatore atletico Sinatti poi successivamente tornato. La qualificazione alle coppe è ancora in ballo, fermo restando che senza queste è possibile disputare un buon campionato come accaduto alla Juventus quest’anno. Ma, se ci si qualifica, l’impegno europeo va affrontato con serietà: scendere in campo al giovedì in Europa o Conference League – competizione a mio giudizio sbiadita, inutile e dannosa se penso ad esempio a quella che fu la vecchia Coppa delle Coppe – è pericoloso in proiezione al campionato. In ogni caso, centrare la qualificazione alle prossime coppe permetterebbe al Napoli di allungare la striscia positiva che lo vede da 14 anni partecipare alle competizioni europee e di ripartire bene dopo una stagione complicata. Le possibilità di agguantare un posto-Champions sono ridotte ma non escluse del tutto considerato il calendario, con Roma e Bologna che si affronteranno nello scontro diretto dell’Olimpico e poi faranno visita agli azzurri da qui a poche settimane. Ripartire da zero, invece, comporterebbe difficoltà oltre ad essere poco attrattivo per l’allenatore che verrà”.
Puoi raccontarci un curioso retroscena della tua carriera?
“Dopo lo scudetto vinto dal Napoli nel 1987, nella stagione successiva gli azzurri, che giocarono forse il miglior calcio d’Italia, stavano per fare il bis ma arrivarono al rush finale sulle gambe subendo il sorpasso del Milan di Sacchi nello scontro diretto del 1° maggio 1988. Ricordo che quel giorno fui molto deluso e, frastornato dalla sconfitta, ebbi difficoltà a scrivere il pezzo. Quel momento, a distanza di anni, fu di grande aiuto nel prendere le distanze fra il Carlo-tifoso ed il Carlo-narratore al servizio del pubblico”.
In chiusura, hai un messaggio da lanciare a quei giovani desiderosi di affacciarsi alla professione giornalistica?
“Oggi è indispensabile confrontarsi con un mondo che è cambiato, nel quale domina una forte polarizzazione dell’offerta editoriale. In origine, oltre alla Rai, esistevano soltanto i quotidiani, mentre successivamente grazie alle televisioni private l’offerta è aumentata. Da un etere limitato, si è così passati a grandi possibilità, ma non tutte offrono precise garanzie lavorative a lungo termine. Ai giovani consiglio di tenere in serbo un piano B, ricordando loro che un sogno va sempre coniugato con la concretezza, come i due Maurizio banchieri fino a 50 anni ed in seguito consacratisi l’uno come allenatore, l’altro come scrittore (il riferimento è a Maurizio Sarri e a Maurizio De Giovanni, n.d.r.)”.
Intervista a cura di Riccardo Cerino