C come casting, ovvio, però volendo anche come coach, che ci può stare, anche se sa di basket. Come ciclo, un altro, da riaprire adesso e subito, sapendo bene cosa fare e come farlo, se attraverso il tridente oppure uscendone, per inseguire un calcio diverso.
C come cambiamento, quasi epocale, perché stavolta il Napoli – e cioé Adl – scelgono con largo anticipo il tragitto da percorrere: possono – può – giocare d’anticipo, può farlo secondo un’Idea personale che gli appartenga completamente o che possa essere condivisa con un manager da insediare prima di puntare su un allenatore.
C come Antonio Conte, of course, con il quale le chiacchierate sono state frequenti e la stima, si sa, è reciproca: però fondersi significa saper condividere le diversità di filosofie che sembrano (sembrano!) inconciliabili, personalità possenti che possono incrociarsi negli spigoli dell’uno e dell’altro e quella autonomia che ognuno, per ruoli e competenze, vuole custodire o comunque governare.
IL SOGNO. Antonio Conte resta la tentazione, è forte, è catalizzatore, è figura rassicurante con l’ambiente, è un vincente, è un carattere, è difesa a tre (ma non solo, come racconta il proprio vissuto tra Bari e la Juventus e altrove), è dominante ma è soprattutto una garanzia. E sta lì, con quel suo carico di effetti speciali che su una città come Napoli possono incidere, eccome, perché offrono sempre la sensazione di non imbattersi in un futuro da decodificare: è già tutto scritto nella sua storia ormai quindicennale in panchina, tra scudetti e coppe che addobbano la sua bacheca. Conte ha un ingaggio fuori dalle dinamiche del Napoli, però anche motivazioni che potrebbero spingerlo a (ri)mettersi in gioco in un ambiente stuzzicante: va trovata reciprocamente la chimica, prima di sedersi a dialogare ancora.
Fonte: CdS