Esclusiva, Prandelli a “Il Mattino”: “A giugno nessuno dirà di no al Napoli”
«E ora ci pensino i giocatori a guardarsi in faccia e uscire allo scoperto: tocca a loro prendersi le responsabilità del momento, non hanno alibi. Non ne hanno mai avuti ma adesso non ne hanno neppure mezzo. Per uscirne fuori serve la loro reazione». Cesare Prandelli, ex ct della Nazionale e una vita passata a vincere con la Juventus, non ha alcuna intenzione di ritornare in panchina, dopo l’ultima avventura alla Fiorentina. Ma resta appassionatamente attaccato a questo mondo, come spettatore.
Prandelli, come si fa a pareggiare una gara come quella di Cagliari?
«Quando prendi gol quasi all’ultimo secondo è il segnale di qualcosa che è rotto dentro di te. Perché in pieno recupero le grandi squadre i gol li fanno, non li possono prendere come ha fatto il Napoli».
Non è che il Napoli paga la vecchia maledizione che dice che solo Inter, Juve e Milan possono aprire dei cicli vincenti?
«Non è possibile. Al di là dell’aspetto tecnico, quello che è stato sperperato quest’anno è un patrimonio di entusiasmo che non ha eguali in giro per il mondo. Le immagini della città tutta colorata di azzurro, le scene di festa, hanno spinto migliaia di persone a recarsi in visita al centro storico per godersi quell’atmosfera magica che solo a Napoli si è potuta respirare dopo uno scudetto. E nessuno immaginava fosse possibile cancellare tutto così velocemente».
E invece è stata una caduta libera.
«A picco. E senza precedenti in questa dimensione a mia memoria. Chiudo gli occhi e ancora ho a mente la squadra di Luciano che aveva uomini che giocavano con ambizione, convinzione, generosità, passione. E mi chiedo, che fine abbia fatto. È svanito tutto in un lampo».
È una stagione persa?
«C’è una grande occasione per rialzare la testa ed è la gara chiave di Barcellona: approdare ai quarti di Champions può tramutare questa annata in qualcosa inaspettatamente positiva. Non è facile andare a vincere lì, ma è nelle potenzialità e nelle corde di una squadra che ha dominato, con un gioco spettacolare ed equilibrato fino a 10 mesi fa».
Sembra passato un’era geologica.
«Ed è per questo ora tocca ai leader della squadra. Quei due o tre che ci sono, prendano in pugno la situazione, coinvolgano anche le proprie famiglie, stiano insieme e siglano un nuovo patto. Perché il Napoli non può finire in questa posizione, non può lasciare questa immagine. Ecco, i calciatori devono fare di tutto per tornare a essere una squadra. Non quella squadra dello scudetto, perché è un obiettivo impossibile. Ma devono ritrovare una personalità, senza pensare ai moduli, agli assenti. Gli allenatori fino ad adesso sono stati i loro capri espiatori, prima Garcia poi Mazzarri. Adesso non ne hanno altri».
Prandelli, ma cosa è successo?
«Da lontano non è facile. Ritengo che sia siano rotti quasi subito dei cocci e che nessuno sia riuscito a rimetterli insieme. Un anno fa il leader supremo era Luciano Spalletti. Ecco, la squadra con lui era abituata a fare un calcio applicato: quando durante la settimana provi e riprovi le cose, i calciatori in campo, la domenica, hanno la vita semplice. Altrimenti, restano spaesati, perdono la loro fluidità. Nel calcio, c’è poco da fare, ci sono dei codici scritti: quello che provi durante la settimana, lo ritrovi in campo. I calciatori, evidente, hanno perso determinate certezze».
Avrà ancora problemi De Laurentiis a trovare un altro allenatore la prossima estate?
«Dopo Spalletti non era semplice trovare un erede perché tutti sapevano che era complicato ripetere una simile meraviglia. A giugno sarà diverso: ci sarà un progetto nuovo, una squadra probabilmente da ricostruire. Nessuno dirà di no a una piazza come il Napoli».
La speranza è nel ritorno di Osimhen?
«Mazzarri lo ha avuto poco e un bomber come lui non può non mancarti: ti chiude i buchi, ti consente di verticalizzare. Ecco, per esempio, è l’attaccante ideale per sognare il colpaccio a Barcellona».
L’Inter sta ripetendo il cammino del Napoli?
«Inzaghi ha portato convinzione, è un gruppo consolidato ed è stato bravo a non seguire alcuna moda. Ma è la serie A che mi lascia perplesso: ci sono ormai 8-9 squadre e poi tutto il resto. Che è un pantano. Tutto troppo frenetico».
Fonte: Il Mattino