Allenatori. Nessuna filosofia, poca voglia di illuminare la piazza con frasi indimenticabili o proclami. Nessun “ismo” dopo il loro nome. Allenatori e basta. Chiamiamoli pure “mister”. Pioli e Mazzarri, due praticoni che solo ogni tanto si lasciano travolgere dalle mode del momento. Come Walterone, che se ne è già pentito. In un calcio sempre più frenetico e movimentato, per loro quello che ha sempre contato più di tutto è l’etica del risultato, anzi del modo di stare in campo e forse al mondo. E quasi mai hanno dato peso all’estetica. Pioli ha vinto uno scudetto, ma tranne che in quella stagione è sempre stato sulla graticola al Milan, sempre con il fiato addosso di qualcuno.
Né lui né Mazzarri si sono mai iscritti a corsi di “grande bellezza” o simili. Sono pragmatici, consistenti, badano al sodo e non alla fantasia. Sono due tipi assai simili: ed è per questo motivo che De Laurentiis ha iniziato a interessarsi al tecnico del Milan, a seguire da vicino l’evoluzione della sua panchina, alla sua sorte. Ovvio, c’è Antonio Conte in cima a tutto, ma è complicato inseguire uno che vogliono tutti. E a cui piace il ruolo di erede al trono di mezza Italia. Pioli, quindi, potrebbe liberarsi e a De Laurentiis piace da quando ha eliminato il Napoli nei quarti di Champions. Ne ha apprezzato la duttilità, la capacità di mandare ko una squadra, sulla carta, più forte del Milan. Ha detto: «Ci penserò ad aprile». Ed è vero. Ma nella lista per il dopo-Mazzarri ci sono tre nomi italiani da tenere ben vista alla luce dei gusti del patron azzurro: Pioli, il solito Italiano (con il ds Meluso, amico fin dai tempi dello Spezia, che ne segue gli umori) e Gasperini. Anche se il Gasp è stato troppe volte illuso dal patron azzurro per lanciarsi tra le sue braccia senza perplessità.
Mazzarri non lo sa ancora, ma Pioli domenica sera diventerà l’allenatore che ha incontrato di più in carriera: ben 18 volte. E il tecnico del Milan è anche quello che lo battuto di più: 9 volte. Non vince uno scontro diretto da undici anni, dalla vittoria a maggio del 2013 con il Bologna (3-0 reti di Dzemaili e doppietta di Cavani). Da allora, in altri sette incroci, tre soli miseri pareggi. È una lunga storia, quella di Pioli e Mazzarri. Primo scontro diretto distante 21 anni: era il 27 settembre del 2003, nel vecchio Arsenale, Livorno-Salernitana e Mazzarri vinse all’esordio. Ma i due sono cresciuti uno al fianco dell’altro nel settore giovanile del Bologna che era nelle mani, a fine anni 90, di Oreste Cinquini. Mazzarri era nella Primavera rossoblù mentre Pioli, nello stesso periodo, allenava gli Allievi nazionali, vincendo lo scudetto nel 2001. È la sfida di due metodici, due che non lasciano mai nulla al caso. Che lavorano sodo, non si innamorano delle idee ma dei calciatori che allenano. Ma quando Mazzarri vede Pioli, almeno negli ultimi 11 anni, non può che temere il peggio.
Non sanno neppure cosa sia il marketing: non si sentono maghi, non sono incantatori di platee. Allenatori, due allenatori nati per la panchina. E che hanno fatto la gavetta, allenando squadre di bassa classifica prima di arrivare al duello di domenica sera. Mazzarri non è un grande comunicatore: le sue frasi indimenticabili non sono mai studiate a tavolino. Esce dalle righe solo quando ha mal di pancia. Il faro illuminante è l’umiltà. Da trasmettere al proprio gruppo. Loro giocano senza inventare nulla: un calcio pragmatico dove i lampi di spettacolo sono affidati a quelli che sanno come si fa. Uno ha Leao e Giroud, l’altro Kvara e uno tra Raspadori e Simeone. Sanno tutti e due che nessuno regala nulla: la differenza la fanno le motivazioni.