L ’uomo dei sogni, mentre il Napoli è finito in un incubo, entra nel proprio corpo, si prende il destino tra le mani e disegna un arcobaleno: chi ce l’ha un altro Khvicha Kvaratskhelia, con quel talento che vale tanto oro quanto pesa? E proprio quando sembra sia finita, e non resta altro da fare che perdersi nelle più cupe elucubrazioni per aver buttato via un anno e un Progetto, in uno stadio che ha le mani giunte, il Dio del calcio ispira il genio d’un calciatore speciale – forse, spaziale – che non ha schemi, chissà se ha limiti. Napoli 2, Verona 1, perché il tiraggiro che cambia l’orizzonte è incanto divino, sta nel cervello d’un giocatore universale, leader tecnico di una spanna superiore alla compagnia, e poi è una magia per ricostruirsi l’anima e il futuro: la Champions non s’è dissolta, nonostante l’Atalanta abbagli con il suo calcio, e magari qualcosa può ancora succedere. Perché se c’è Kvaratskhelia nulla è definitivo, non la sorte di una partita che il Napoli gioca in versione tridimensionale: contro quel puzzle del Verona coraggiosamente ricostruito al mercato, Mazzarri può bearsi per i 20′ iniziali (che sono godibili ma oggettivamente limitati), deve interrogarsi per i 50′ a cavallo tra la fine del primo tempo e l’inizio del secondo (in cui c’è poco più di nulla) e gli ultimi 20′, utili a risorgere, sistemando i chiodi sulla panchina.
LA PAURA. Il Napoli la vince quando sta per perderla, l’ha sciupata nell’avvio per “colpa” di Montipò (ma che bravo su Kvara, chi se non lui? al 10′), per superficialità proprie (12′: Di Lorenzo chiude male una giocata significativa), perché così vuole quel portiere che, 13′, s’oppone al solito noto, un georgiano che a volte pare un marziano. Ma poi si spegne la luce, Baroni aggiusta il Verona, costringe il Napoli a palleggiare largo, soffoca Anguissa, non argina Lobotka ma tiene Simeone, si lancia con Lazovic (45′, contropiede stiracchiato) e comunque diventa elastico, un pochino di 4-4-2 e poi 4-2-3-1. Il Napoli è una vaga intenzione, non attacca largo con Di Lorenzo e Mario Rui o con Politano, non manda dentro i centrocampisti, s’infila in una gabbia che Baroni ha intanto attrezzato intorno a Kvara, comunque luce che s’accende. E però, è scritto da qualche parte che sia cambiata la giornata, lo ha sussurrato Lazovic (3′) ai guantoni di Gollini e Folorunsho con una rovesciata (12′) che sarebbe andata sulle copertine di mezza Europa ma finisce fuori.
BRRR. Se il calcio viene tratteggiato dal diavolo è da vedere, però l’inferno è del Napoli (27′) sull’ennesima punizione, palla nel caos, stacco di spalla di Coppola e turbolenze che s’avvertono. Per metterci del suo, il Napoli non si fa pregare, crea (33′) e va a sbattere due volte, con Mazzocchi e con Lindstrom, su quel paratutto di Montipò. Mazzarri ci ha già provato a cambiarla, Lindstrom e Ngonge per Cajuste e Politano (e 4-2-3-1), però la somma delle sostituzioni emerge alla distanza, è benedizione: succede sulla corsia mancina, con Mazzocchi che spalanca una corsia per il danesino, appena dirottato largo a sinistra; finta da applauso, palla pulita per il belga, deviazione amica di Dawidowicz e decisione al fotofinish, come con la Salernitana, come (spesso) dieci, undici, dodici anni fa.
L’URLO. Il campo si è allungato per chiunque, Verona compreso, che non ha la panchina di Mazzarri, ha investito nel finale su Magnani e Tavsan, reattivi per così dire nel momento clou che sta arrivando. Il Napoli invece abbonda di scelte, affronta i suoi vuoti di memoria, accetta che solo al 41′ il pallido Simeone esca per Raspadori e guarda più o meno da vicino la zona Champions, arrampicandosi sul K2 al minuto 42, sulla folgorazione di quel fenomeno: Mazzocchi la ruba a Tavsan e la appoggia sul destro di KK con Magnani distratto. Il controllo è tenerissimo, la parabola è sontuosa, il messaggio a Napoli è scontato: siate felici, finché c’è Kvara c’è speranza.
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Fonte: CdS