Sotto lo sguardo di Antonio Conte (segnale premonitore per il futuro?), il Napoli chiude il suo disastroso girone d’andata perdendo nettamente 3-0 contro un Torino a cui è bastato rendersi conto dell’inesistenza dell’undici di Mazzarri e spingere col minimo sforzo per affossare le residue velleità azzurre.
Per avere la certezza che il pomeriggio dell’Olimpico Grande Torino sia a tinte granata è sufficiente osservare la parte centrale della gara – dopo un primo terzo contraddistinto da equilibrio e prudenza, forse troppa, da ambo i lati – in cui è evidente che agli uomini di Juric serva poco per volgere la contesa a proprio favore rispetto ai partenopei, incredibilmente assenti e pure imprecisi in due nitidi tentativi di Raspadori, con il Cholito Simeone ancora sconsolatamente in panchina.
Il gol di Sanabria (42′) rende ancora una volta palese la capacità del Napoli di sfaldarsi alla prima difficoltà, sensazione che trova ulteriori conferme ad inizio ripresa quando il neo-entrato Mazzocchi (l’uomo che avrebbe dovuto dare la sveglia ai compagni, per dirla con le parole dell’allenatore alla vigilia) si fa espellere per un duro intervento su Lazaro: il peggior modo possibile di esordire e scuotere un collettivo (?) in evidente difficoltà. Per il Torino a quel punto è stato un gioco da ragazzi sbarazzarsi di quel che restava dei partenopei.
La classifica parla chiaro: nona posizione ed un’intera seconda parte di stagione – con l’ingombrante appendice della Supercoppa Italiana e degli ottavi di Champions – che Mazzarri e i suoi si apprestano ad affrontare nelle peggiori condizioni possibili. La trasferta torinese restituisce fedelmente l’immagine di una situazione, già precaria, che potrebbe ulteriormente sfuggire di mano aprendo prospettive ad ora inimmaginabili ed inquietanti. Per la squadra azzurra, poco incline a giocare col coltello fra i denti, il rischio di non saper fronteggiare ulteriori scivoloni è drammaticamente tangibile.
L’augurio è quest’annata a suo modo storica (per ricordare formazioni campioni in carica fuori dalla lotta al titolo già al giro di boa bisogna tornare indietro di quasi un trentennio, nello specifico al Milan del Sacchi-bis e alla Juventus dell’avvicendamento Lippi-Ancelotti) serva da lezione ai diretti responsabili per non incappare nella stessa presunzione che ha fatto da contorno a molte delle scelte susseguitesi negli ultimi mesi ed a prese di posizione incaute nelle circostanze meno opportune.
Riccardo Cerino